28 aprile, Sa Die de Sa Sardigna. Festa del popolo sardo che ricorda ‘i vespri sardi’

di Chiara Farigu

Oggi, 28 aprile, in Sardegna è festa “nazionale”. Festa che torna al suo splendore dopo due anni pandemia.  Con  una serie di appuntamenti che spaziano dalle rievocazioni storiche alle celebrazioni religiose e istituzionali, passando per i dibattiti e le iniziative culturali.

“Ogni 28 aprile rievochiamo la storia con orgoglio per tenere viva la memoria del grande e glorioso popolo sardo – afferma il presidente della Regione Christian Solinas -. Sa Die, giornata della libertà e del riscatto sia l’occasione per ripartire e condividere un momento di riflessione su passato e di stimolo per il futuro affinché la Sardegna torni a essere la terra dei sardi e nessuno di essi debba più essere costretto per alcun motivo a lasciarla”.

E’ una ricorrenza della quale si parla poco e soprattutto si studia poco.

Sui libri di scuola non ve n’è traccia e se in qualche modo riesce a ritagliarsi uno spazio è grazie all’iniziativa personale di qualche insegnante che ne vuol tenere viva la memoria.

Perché conoscerne i fatti avvenuti in quella circostanza significa conoscere la storia delle proprie radici. E se è vero che la felicità di un popolo passa dalla conoscenza e dalla consapevolezza di ciò che ha subito e di quel che si è conquistato, col sangue dei propri avi, ricordare diventa un dovere. Da trasmettere alle nuove generazioni, anno dopo anno, giorno dopo giorno. Perché la ‘tirannia’ i soprusi le ingiustizie sono sempre dietro l’angolo. E non si è mai adeguatamente attrezzati per non farsi sopraffare.

La festività fu istituita il 14 settembre 1993, su iniziativa del cantautore Piero Marras (allora consigliere regionale eletto nelle file del Partito sardo d’Azione), e dal Consiglio Regionale che approvò la legge n° 44,  nominandola “Sa die de sa Sardigna” (il giorno della Sardegna), ovvero  la Festa del Popolo Sardo da celebrarsi il 28 aprile di ogni anno.

La data è stata scelta per ricordare “i vespri sardi” del 28 aprile 1794 che culminarono con la cacciata del viceré piemontese, Vincenzo Balbiano, accusato di rappresentare la tirannia del re sabaudo. Erano anni tormentati quelli, in Francia e in diverse città d’Europa e del mondo. E la Sardegna non era da meno. Anzi.

L’isola dal 1720, dopo un lungo periodo storico che la vide parte del Regno di Spagna, fu ceduta ai Savoia (duchi di Piemonte), che divennero Re di Sardegna. I Savoia però trattarono l’isola come una “colonia”, incuranti della povertà delle sue genti e dei diritti autonomistici del Regno.

Così i Sardi, stanchi di sopraffazioni e tirannie, chiesero a Torino che venissero lasciati loro gli incarichi più importanti e strategici dell’isola, poiché  i piemontesi  non erano in grado di comprendere e  quindi di  risolvere i problemi economici e  sociali che li riguardavano direttamente.

Più che una richiesta era una necessità, di più,  un diritto.

Infatti, dopo aver respinto la flotta francese nel 1793 a Cagliari, i Sardi ritenevano di aver diritto alle cariche politiche e militari più importanti nella loro stessa terra. Ma il Re disse di no. Cominciò allora un malcontento generale che sfociò in un motto rivoluzionario quando Efiso Pintor e Vincenzo Cabras, i maggiori rappresentati del partito dei patrioti furono arrestati. Quegli arresti furono percepite come l’ennesimo affronto al quale si doveva reagire una volta per tutte.

Il 28 aprile del 1794 i viceré e tutti i piemontesi furono cacciati da Casteddu  ‘e susu’ (Cagliari), i quartieri nobili nei quali risiedevano, portati al porto e imbarcati sulla nave verso il “continente”.  C’è da sottolineare, e non è cosa da poco, che alla rivolta, quel giorno, parteciparono tutti, dai nobili ai contadini, senza distinzione di classe sociale e di ceto.

In  “limba” la festività  è nota anche come Sa di’ de s’aciapa = Il giorno dell’acchiappo,  poiché   la caccia ai  piemontesi, camuffati con gli isolani, fu messa in atto utilizzando qualsiasi stratagemma per poterli stanare e rispedire al mittente, ‘nara cixiri’ (pronuncia ‘ceci’), uno di questi.

La rivolta da Cagliari si diffuse in tutta la Sardegna, diventando una vera e propria rivoluzione.

Un canto,  Procurade ‘e moderare, barones sa tirannia! di Francesco Ignazio Mannu, divenne ed è tuttora considerato l’inno della Sardegna.

La prima strofa, un avvertimento che è già tutto un programma: una denuncia alla tirannia dei baroni:

Procurade ‘e moderare,

barones, sa tirannìa,

Chi si no, pro vida mia,

Torrades a pe’ in terra!

Declarada est ja sa gherra

Contra de sa prepotentzia,

E incomintzat sa passentzia

ln su populu a mancare.

Barones, sa tirannìa

procurade ‘e moderare,

procurade ‘e moderare

CERCATE DI MODERARE, BARONI, LA TIRANNIA.

Il canto termina con un incitamento alla rivolta Cando si tenet su bentu est preziosu bentulare (“quando si leva il vento, bisogna trebbiare”). E il 28 aprile trebbiarono alla grande.

Una giornata per riflettere su ciò che siamo oggi con uno sguardo rivolto al passato. Per ritrovare l’orgoglio, l’energia e la determinazione per combattere le sopraffazioni presenti oggi come ieri.

*Immagine Sardinia Post

Chiara Farigu

Pubblicato da Chiara Farigu

Insegnante in pensione, blogger per passione. Laureata in Scienze dell'Educazione, ama raccontarsi e raccontare l'attualità in tutte le sue sfaccettature. Con un occhio particolarmente attento al mondo della scuola e alle sue problematiche