5 ottobre: giornata mondiale dell’insegnante. Ventiquattr’ore per riflettere ma soprattutto per fare

di Chiara Farigu

Anche quest’anno Google  dedica il suo ‘doodle’ alla giornata mondiale degli insegnanti. Lo ‘scarabocchio’ con i diversi ‘attrezzi’ del mestiere: mappamondo, squadra, matita, microscopio, lavagna e l’immancabile libro, diretti armoniosamente dal Capitano per eccellenza: l’Insegnante.

Più che una dedica, un augurio. Dal momento che il tema per l’evento di quest’anno è la leadership degli insegnanti nella trasformazione dell’istruzione, trasformazione che inizia appunto attraverso la figura che tale ruolo rappresenta, ovvero il docente.

 

Istituita nel 1994 dall’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di conoscenza e patrimonio culturale, la ricorrenza  vuole essere un invito alla riflessione sull’insegnamento, la professione più bella e nobile che ci sia.  Sulle sfide quotidiane e sulle difficoltà, le tante ancora che per diverse ragioni non si riescono o forse non si vogliono abbattere.

Soprattutto ora. Dopo la difficile e delicata ripartenza dopo oltre due anni di chiusura per pandemia da coronavirus. Mai come adesso c’è bisogno di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficoltà che gli insegnanti di tutto il mondo hanno dovuto e dovranno affrontare ancora affinché la didattica sia garantita definitivamente  in presenza e non si torni allo spauracchio dell’insegnamento da remoto. Con tutti i pochi pro e tanti contro che abbiamo avuto modo di verificare.

Mai come adesso si avverte la necessità di ristabilire quell’alleanza tra scuola e famiglie. E tra scuola e istituzioni.

Troppo spesso gli insegnanti vengono lasciati soli, ingabbiati nelle strettoie burocratico/amministrative che rubano spazi e tempi alle discipline che sono chiamati a condividere coi loro studenti. In aule spesso fatiscenti e a rischio crolli, con carenza di attrezzature e materiali didattici. Con retribuzioni da terzo mondo e, in barba al futuro che rappresentano, obbligati a stare in cattedra oltre ogni limite.

I più vecchi d’Europa, quelli italiani. E i meno remunerati. Maglia nera da anni il nostro Paese, a ricordarcelo, qualora ce ne fosse bisogno, i diversi istituti di statistica nei loro report annuali.

Ma sempre prima la scuola, insieme alla sanità, nella hit per le sforbiciate previste dalle revisioni di spesa del bilancio pubblico. Scuola e investimenti. Un ossimoro da sempre. L’incubo di ogni governo. Che sempre promette ma quasi mai poi mantiene.

E se mantiene, mai nella giusta direzione. E necessità.

Basta vedere quanto è stato fatto, o meglio non fatto, in questi due anni di pandemia. Tanti, troppi i bla bla bla, pochissimi i fatti.  Anche il  nuovo anno scolastico è iniziato coi vecchi stramaledetti  problemi di sempre. Alla faccia delle roboanti dichiarazioni fatte dal ministro di turno.

Perché la scuola, e tanto meno il benessere degli insegnanti, non è mai la priorità. Se non a parole,  in campagna elettorale o nelle promesse dei governi quando si insediano. Ma puntualmente, il nulla di fatto.

Per poi scoprirne nuovamente il valore, l’essenza,  come è successo nel periodo dell’emergenza pandemica. Quando ad occuparsi di alunni e studenti sono state chiamate in causa le famiglie. E’ stato allora, dopo decenni di assoluta indifferenza che si è riscoperto il valore della scuola. Inteso come luogo di formazione e ancor più di socializzazione.

Punto di riferimento indispensabile per la società intera.

Sono stati due difficili, quelli appena trascorsi. Nei quali i docenti si sono dovuti inventare una nuova modalità di insegnamento servendosi della tecnologia per non lasciare indietro e abbandonati a se stessi alunni e studenti di ogni ordine e grado. Non dimentichiamo che per molti di loro, quando i bollettini medici contavano giornalmente migliaia di morti, l’unica voce amica arrivava da quello schermo.

Ma ora, fortunatamente, il peggio è passato e si guarda al presente. Con le tante, troppe difficoltà ancora in atto e da risolvere. Come garantire  agli studenti sin dal primo di giorno la presenza in cattedra degli insegnanti. E la messa in sicurezza degli edifici scolastici. Ma anche la valorizzazione della figura professionale dei docenti, intesa come rispetto per il ruolo rivestito che comincia sì da un giusto riconoscimento sociale che non può e non deve prescindere da un’adeguata retribuzione.

Valorizzare la leadership degli insegnanti è giustappunto il tema che Education International, Unesco, Organizzazione internazionale del lavoro e Unicef, sceglie per la ricorrenza 2022.

Un invito specifico ai governi  affinché si  investa nella professione dell’ insegnante, e si rispetti il ruolo che rappresenta, accordandogli la fiducia che merita.  Affiancandolo nell’ascolto e sostenendolo nelle difficoltà. Sgravandolo dalle inutili pastoie burocratiche che tolgono spazio e tempo alla didattica. Soprattutto oggi che l’istruzione è in continua evoluzione e costante trasformazione.  Avendo cura di  retribuirlo adeguatamente. Perché il riconoscimento sociale, nonché il rispetto, ricordiamolo sempre, non può non andare di pari passo con la giusta retribuzione.

Una giornata importante, dunque. Ventiquattro ore per riflettere. Ma soprattutto per fare.

Chiara Farigu

Pubblicato da Chiara Farigu

Insegnante in pensione, blogger per passione. Laureata in Scienze dell'Educazione, ama raccontarsi e raccontare l'attualità in tutte le sue sfaccettature. Con un occhio particolarmente attento al mondo della scuola e alle sue problematiche