#HIV: perchè è ancora importante conoscerlo

di Cristina Piloto

Ancora oggi, sebbene non se ne parli più come una volta, in Italia i contagiati dal virus #HIV sono circa 120.000, con più o meno 2.500 diagnosi l’anno, ma soprattutto 15.000 di questi non sanno di essere infetti, e possono diffondere la malattia.

Sono giovani di una generazione che non ha vissuto i tempi durissimi delle morti per #Aids e hanno bisogno di essere informati e educati.

Cos’è il virus dell’HIV e come provoca la malattia dell’AIDS?

Si tratta di un “retrovirus” capace di dare un’infezione cronica, ad evoluzione lenta ma progressiva, che se non trattata da un esito fatale, per l’instaurarsi di malattie dette opportuniste, ovvero che colpiscono gli individui con le difese immunitarie compromesse.

Il tempo medio di allungamento della vita dei pazienti sotto terapia ora si è notevolmente allungato. Senza terapia il tempo medio di sopravvivenza, dopo aver contratto l’HIV, è tra i 9 e gli 11 anni. L’infezione con l’HIV si verifica con il trasferimento di sangue, sperma, liquido vaginale, pre-eiaculazione o latte materno.

All’interno di questi fluidi corporei l’HIV è presente sia in particelle libere sia all’interno delle cellule immunitarie infette. Le cellule bersaglio preferite da questo tipo di virus sono dei particolari linfociti: i CD4 positivi. Si tratta di cellule particolarmente importanti nel sistema immunitario, veri e propri “direttori d’orchestra” che, attraverso messaggi biochimici, riconoscono i vari ospiti indesiderati dell’organismo (virus, batteri, protozoi, funghi, vermi e cellule tumorali) e attivano i settori del sistema immunitario di volta in volta più idonei a contrastarne la presenza.

Ciò che manda KO queste cellule non è tanto la presenza del virus (che può rimanere latente, integrato nel DNA della cellula ospite anche per lungo tempo), ma il suo processo di replicazione, in particolare nell’ultima fase quando i nuovi virus lasciano la cellula perforandone la membrana e uccidendola (gemmazione).

Un numero inadeguato di linfociti CD4+ paralizza il #sistemaimmunitario, esponendo l’organismo al rischio di qualsiasi infezione e tumore.

Questo #virus presenta diverse modalità di trasmissione: sessuale, ematica (attraverso trasfusioni di sangue infetto o attraverso lo scambio di siringhe infette), verticale (madre-figlio – durante la gravidanza, durante il parto, o con l’allattamento. Il rischio per una donna sieropositiva di trasmettere l’infezione al feto è circa del 20%.

Tuttavia, è possibile ridurre tale rischio al di sotto del 2% somministrando la zidovudina – Azt – il primo farmaco usato contro l’Hiv, alla madre durante la gravidanza e al neonato nelle prime sei settimane di vita).

La trasmissione per via sessuale è nel mondo la modalità di trasmissione più diffusa dell’infezione da Hiv. I rapporti sessuali, sia di tipo eterosessuale che omosessuale, non protetti dal preservativo, possono essere causa di trasmissione dell’infezione.

La trasmissione avviene attraverso il contatto tra liquidi biologici infetti (secrezioni vaginali, liquido pre-eiaculatorio, sperma, sangue) e le mucose.

La trasmissione è possibile anche se le mucose sono integre, ma è molto facilitata se ci sono microlesioni.

Tra i diversi tipi di rapporti sessuali, quello anale, sia etero sia omo, viene considerato il più a rischio d’infezione. Questo perché la mucosa intestinale della regione anale è una barriera meno efficace delle altre, essendo costituita da un epitelio piuttosto sottile e scarsamente lubrificato e dunque facilmente traumatizzabile durante il rapporto, creando così delle piccole lacerazioni che facilitano l’inoculazione del virus.

Il rapporto orale è probabilmente tra tutti quello meno a rischio, anche se sono stati documentati casi di infezione anche attraverso tale modalità.

Dopo essere entrata in contatto con l’Hiv, una persona può diventare sieropositiva (positiva al test per Hiv), cominciare cioè a produrre anticorpi diretti specificamente contro il virus e rilevabili nel sangue con un semplice prelievo ematico.

La sieropositività implica che l’infezione è in atto e che è dunque possibile trasmettere il virus ad altre persone. La comparsa degli anticorpi, però, non è immediata. Il tempo che intercorre tra il momento del contagio e la positività al test HIV è detto “periodo finestra” e dura poche settimane, ma può estendersi anche fino a 3 mesi.

Durante questo periodo, anche se la persona risulta ancora sieronegativa è comunque già in grado di trasmettere l’infezione.

Nel 2008 la Commissione federale per i problemi legati all’Aids ha affermato che una persona positiva all’HIV non può trasmettere il virus dell’AIDS se segue con rigore un trattamento antiretrovirale, ha una carica virale non rilevabile da almeno sei mesi e non presenta altre infezioni sessualmente trasmissibili.

Tale indicazione è utilizzata essenzialmente per le coppie stabili in cui uno dei due partner è stato contagiato dall’HIV.

È importante sottolineare che L’Hiv non si trasmette mangiando dallo stesso piatto o utilizzando il bagno in comune, né scambiandosi baci e abbracci. Nessun familiare di una persona sieropositiva è stato mai infettato in questo modo.

L’infezione da Hiv non può essere diagnosticata attraverso i sintomi né attraverso le comuni analisi del sangue. L’unico modo per accertare l’infezione è quello di sottoporsi al test per l’Hiv. Si può effettuare il test presso i Centri Riferimento Hiv/Aids delle Asl e degli ospedali, i centri di cura delle I.S.T. (Infezioni Sessualmente Trasmissibili) e i centri prelievi accreditati.

Il test non è in grado di rilevare l’infezione nei giorni immediatamente successivi al contagio.

Per ottenere un risultato attendibile è necessario che dall’ultimo comportamento a rischio trascorra un certo periodo di tempo. L’infezione da Hiv, nel nostro paese, è ormai considerata un’infezione cronica che lascia spazio a progetti di vita personali, lavorativi e familiari, compreso quello di diventare genitori.

Non esiste ancora una cura in grado di guarire dall’Hiv ma, se l’infezione viene diagnosticata precocemente, le terapie antiretrovirali disponibili offrono un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale.

Chi contagia è perché non sa di essere sieropositivo: Il 30% dei sieropositivi non sa di esserlo, spesso arriva in ospedale dieci anni dopo il contagio, quando la situazione è grave e quando potrebbe avere infettato almeno una dozzina di altre persone.

Ecco perché per esempio è importante incrementare campagne come “Alla ricerca del virus”, organizzato da parte della Società Italiana di Malattie Infettive e dalla Società Italiana di Medicina Generale. Questo è un progetto ambizioso, in cui, come afferma il prof. Andreoni, primario di Tor Vergata e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), ci si propone di andare in giro con un camper alla ricerca dei virus, in particolare HIV e HCV (responsabile dell’epatite C), ormai stanziali in Italia, ed è quindi importante far emergere il sommerso.

Oggi si pensa ovviamente continuamente al sars cov 2, ma non bisogna dimenticarsi di altre patologie importanti, ormai diffuse da tanti anni, e che, se opportunamente diagnosticate permettono anche una totale eradicazione (HCV), o un controllo della viremia, fino a permettere una sopravvivenza praticamente uguale agli individui sieronegativi (l’HIV).

#HIV  #virus  #sistemaimmunitario

 

*Immagine pixabay

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