A chi obbedire?

DI ANTONIO MARTONE

 

Una delle utopie più ricorrenti della mente dell’uomo è un mondo in cui non vi siano più individui che obbediscono, né altri che comandano. Sembra che tale utopia sia destinata a rimanere tale.

La grande innovazione dell’Occidente moderno, grazie alle radici poste nella filosofia greca e nel diritto romano, è stata quella di cancellare l’obbedienza nei confronti degli uomini per sostituirla con quella verso regole universali e astratte, ossia nei confronti della legge.

Dal punto di vista istituzionale, ovviamente, parlo della liberaldemocrazia o, per esprimermi con maggiore esattezza giuridica, dello Stato di diritto.

Ebbene, a partire da qualche decennio, sembra che lo slancio moderno che aveva edificato lo Stato di diritto si sia esaurito. Sembra che perfino nell’ambito delle istituzioni, per non parlare della cosiddetta società civile, lo sforzo di tutti sia concentrato sul desiderio di affermare il proprio potere con ogni mezzo, affrancandosi dalle regole comuni.

Anzi, nel tempo della globalizzazione, lo Stato stesso assiste impotente alla erosione di alcune delle sue prerogative storiche tradizionali.

Se tutto ciò è vero, l’antica e universale domanda: “come fare in modo che l’obbedienza non implichi il piegarsi alla tirannia?” dovrà inesorabilmente essere impostata su basi nuove.

Questa esigenza di riformulazione, considerato lo scenario attuale, nazionale e internazionale, visto il rapporto della politica con l’economia, preso atto della salute della terra e della qualità delle classi politiche, desta in me parecchie, inquiete preoccupazioni.

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