A proposito di movida e politiche divisive

DI MARINA AGOSTINACCHIO

Trastevere, San Lorenzo, Monti a Ponte Milvio, Testaccio, Eur, Pigneto, Campo dei Fiori. Siamo a Roma, ma potremmo essere in qualsiasi centro del Paese.

Sui giornali da una parte leggiamo di arresti per violenza sessuale di rapina, di giovani fermati dalla polizia per aver litigato con un amico con spintoni e averlo aggredito, dall’altro di titolari di esercizi pubblici e mini market che vendono alcolici a minorenni.

“Il libera tutti” è la trappola per rinchiudere in uno stato di maggiore coercizione proprio quei giovani che hanno sofferto con “passione” le chiusure e lo stop alla vita notturna e per fare risommergere i gestori dei locali in un pozzo senza fine.
Si sa, noi Italiani, o comunque molti di noi, da parecchi decenni, non riusciamo ad avere il passo della saggezza e della moderazione quando la vita riaffiora nelle sue molteplici manifestazioni.

Ci troviamo spesso ad approfittare dell’onda buona per dare il peggio di noi. E questo sia nel caso di esercenti che “spacciano” illegalmente alcolici, nonostante chiare prescrizioni normative sui divieti, come nel caso di esercenti che attuano una lievitazione del prodotto commerciale che offrono al pubblico.

L’altra sera sono per la prima volta tornata a vedere uno spettacolo teatrale. Era all’aperto, in un capannone. Si trattava di un monologo. Il giovane attore veramente straordinario, portava in scena il disagio dell’uomo, i suoi tic convulsi che poi erano immagine delle nevrosi di noi tutti, psichiatra compreso.

Tra il surreale, il caricaturale e il drammatico, il giovane attore, autore anche del testo, percorreva attraverso mimica, gesti e parole binari molto più attraversati di quanto pensiamo. Perché lì, nei piani scenici presentati, c’eravamo tutti con le nostre vite atrofizzate, costrette, soffocate dalla reclusione imposta dall’emergenza sanitaria.

Tuttavia, elogio a parte nei riguardi del bravo giovane, il prezzo pagato alla biglietteria non era molto “agevolante” per un pubblico eterogeneo. E niente a che fare col giovane recitante il quale prestava la sua opera artistica all’interno di un gruppo di addetti ai lavori e in un circuito di promozione di ripresa teatrale.

Così, può capitare in alcuni ristoranti dove ti vedi presentare un conto non molto incentivante a richiamare antichi o nuovi avventori. Ecco, questo per sottolineare che, anche a fronte di sofferenze attraversate in questo lungo periodo, si potrebbe progettare una risalita graduale, puntando al “ritorno” con senso di equilibrio e di “affezione” alla clientela.

E dei giovani, che dire? Emergono dal sommerso voluto da politiche governative e sindacali di decenni in particolare modo anche ad opera dell’informazione che nella scelta della strutturazione del menabò ricerca il sensazionalismo della notizia, approfondita magari solo in pagine interne che pochi leggeranno o in riviste specializzate. Penso a come siamo ingranaggi di un meccanismo divisivo: noi e gli adolescenti, anche quelli ad oltranza, un meccanismo che sembra stare bene a tutti, anche a chi si tiene alla lontana da ambienti ricreativi.

Vestiamo i panni dell’anonimo della strada che passa, guarda distrattamente, va oltre. Pensare ad un superamento si può e partendo dal basso, non accontentandoci più solo di delegare. Pensare a una rintegrazione di una parte della popolazione su cui dovremmo puntare con progetti a lungo raggio, rieducarci e rieducare all’integrazione superando l’atteggiamento spesso individualistico pericoloso. Si può. Ripartiamo da noi stessi.

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