“Abbiamo l’eternità”

DI GIOVANNI BOGANI

“Me l’ha detto un uccellino”. Ogni tanto usavi questa espressione così antica: quando eri venuta a sapere che avevo avuto un bel voto a scuola, per esempio. “Me l’ha detto un uccellino”, e io mi immaginavo davvero questo pettirosso che scendeva dai quadretti della classe, dove c’erano disegnati animali e piante, e veniva da te a raccontarti.

Eri contenta, quelle volte. Così come eri contenta quando giocavi con me, bambino di cinque o sei anni, e mi strapazzavi le guance, la bocca, le braccia. Eri tu la più forte, fra i due.

Poi ho iniziato a dirti di abbassare la voce, nell’autobus, perché gli altri ci avrebbero sentito. Ho cominciato a tenerti lontana. E non ho più smesso. Da sette a cinquant’anni, mi sono impegnato solo per tenerti lontana, finché lontani non siamo diventati davvero.

Vabbè, è andata così. Abbiamo l’eternità, per rimediare. Facciamo la pace?

Mi avete comprato tanti giochi. Poi me lo sono dimenticato. Ma quanti vagoni aveva il treno elettrico con cui giocavo? E il Monopoli, e l’autopista per le automobiline che sfrecciavano senza smettere mai, e i soldatini Atlantic, le scatole dei soldati francesi, tedeschi, inglesi della Seconda guerra mondiale, e la tastiera Casio. Quanti soldi buttavate via.

E non sapevate che il gioco che mi piaceva di più non costava nulla, era fatto con le figurine dei calciatori Panini, quelle dell’unico anno in cui erano a figura intera. E così, vedevo Altafini, Sormani, Mazzola e Rivera tutti interi, e facevo il mio Subbuteo personale. L’ho conservato fino ai venti, o forse ai trent’anni. Tutte le squadre, con le riserve, tutti i giocatori di tutte le squadre, pronte a disporsi in campo, sul tappeto grande, nel salotto che monopolizzavo io. Quanto spazio avevamo, in quegli anni senza telefonini, senza tecnologia, con la televisione in bianco e nero, ma con quelle stanze grandi, e quel cielo che si sentiva, si sentiva l’estate quando moriva e si sentiva l’inverno quando finiva.

E quegli autobus, col volante grande, enorme. E la scritta “Non partire senza aria”. Non sapevo che cosa volesse dire. Ma di aria ce n’era tanta, tutt’intorno. Oggi, voi che siete nati dopo forse non potete capire. Ma non importa. Facciamo la pace, mamma?

Immagine tratta dal webPubblicità

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