Abel, il bambino robot che reagisce alle emozioni umane

di Giulia Avataneo

Sembra uscito da una scena di AI Artificial Intelligence e a ragione. Abel, il robot umanoide con le sembianze di un 12enne, realizzato dal Centro di Ricerca ‘Piaggio’ dell’Università di Pisa è il risultato di una collaborazione con la Biomimics di Londra e Gustav Hoegen, mago degli effetti speciali di Holllywood. Dopo aver animato le creature di Charlie e la Fabbrica di Cioccolata o di Prometeus, il designer olandese si è dedicato a progetti con un impatto del tutto diverso.

Una collaborazione tra tecnici e artisti

Abel è il risultato di un mix di robotica sociale e affective computing, che permette al robot di interagire e allo stesso tempo di studiare l’interlocutore. Telecamere, microfoni binaurali, tecnologie per l’encefalogramma e scanner termici sono gli strumenti che permettono al robot di studiare e profilare il suo interlocutore.

Osservando parametri come la frequenza della voce, i cambiamenti termici sulla pelle, o il battito cardiaco, Abel deduce le emozioni umane e formula una reazione.

I suoi movimento sono guidati da motori piezoelettrici di diverse dimensioni. Più di 20 sono quelli posizionati sotto la pelle artificiale di Abel per creare le espressioni del suo viso.

Intelligenza emotiva

“Quando ci troviamo di fronte a questo tipo di macchina – spiega Lorenzo Cominelli, ricercatore del Centro Enrico Piaggio – parliamo spesso di empatia, sarebbe più corretto parlare di intelligenza emotiva, una peculiarità degli esseri umani – la capacità di capire come si sentono le persone che abbiamo di fronte”.

“Con Abel vogliamo capire se una macchina può aiutare a mantenere una condizione di salute, non solo fisica ma anche mentale ed emotiva. Questo è particolarmente importante in alcune branche come il disturbo dello spettro autistico o i disturbi comportamentali e sociali, o anche nei soggetti che mostrano una degenerazione neuro-cognitiva come l’Alzheimer.”

Cervello artificiale

Al momento le reazioni di Abel si basano su un software e sensori esterni che devono essere indossati dal suo interlocutore. La prospettiva futura è quella di spostare i sensori al’interno del robot, fino a dotarlo di un cervello organoide.

“Gli organoidi sono un aggregato di cellule staminali che si auto assemblano e si auto organizzano per assomigliare alla struttura e alla funzione di un organo umano in miniatura – spiega Arti Ahluwalia, direttrice del Centro di ricerca Enrico Piaggio – Gli organoidi cerebrali che stiamo sviluppando sono cellule staminali stimolate a produrre neuroni e altre cellule del sistema nervoso centrale, in grado di assemblarsi per creare un mini cervello umano“.
L’obiettivo è di dare ad Abel un cervello umano e allo stesso tempo dare agli organoidi un corpo con cui possano interagire”.

Nuove frontiere

È chiaro che l’impiego di robot umanoidi abbia implicazioni etiche, a cui i ricercatori non vogliono sottrarsi.

“Sicuramente ci sono implicazioni etiche nell’utilizzo di robot umanoidi nella società – dice Enzo Pasquale Scilingo, docente di Bioingegneria all’Università di Pisa – Dobbiamo considerare queste macchine come partner in grado di aiutarci. I robot collaborativi, chiamati cobot, esistono già e sono impiegati principalmente a livello industriale. Abel sarà un partner robot che potrà aiutare, a casa, una persona anziana o con difficoltà”.

Foto e testo da Euronews italiano

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