Ad Amsterdam, la mia via crucis

DI GIOVANNI BOGANI

 

Ero ad Haarlem, mamma, alle dieci di sera, solo, senza una stanza e quasi senza soldi.

Senza sapere neanche dove fosse, Haarlem.

Trovai non so come un treno che arrivava ad Amsterdam. Era mezzanotte.

Andai a cercare un hotel, suonando a tutte le insegne dove ci fosse scritto “rooms”.

Capii quel giorno che gli alberghi è vitale, essenziale, cruciale, fondamentale prenotarli. Una serie di “tutto completo” fu la colonna sonora dei miei passi e delle mie scampanellate. Stava cominciando a fare freddo, e anche a piovere.

Piove spesso, ad Amsterdam.

Avevo sempre solo la giacca Adidas di nylon comprata a 2.500 lire dal compagno delle scuole medie, usata. Usatissima. Tanto usata che la pioggia ci entrava dentro come se fosse stata un sacchetto di plastica riciclabile della Coop.

“No vacancies”. “It’s all booked”. “Sorry, sir”. “Not possible at all”. Niente di niente. In un pub, mi dissero che sì, forse c’era un youth hostel, un ostello della gioventù, ma a tre chilometri da lì. Verso dove?

Me lo indicarono, in un rumore feroce di bicchieri, birre, risate, chiacchiere, grida di donne e di uomini. Uscii, con la chitarra sempre sulla spalla. Camminavo, sempre più stanco.

Si accostarono due ragazzi alti, capelli rasta, pelle nerissima. “Psst! Psst!” e io mi voltai. Sembravano Bob Marley e Peter Tosh. “Dacci la tua chitarra, ti diamo queste”, e mi fecero vedere qualcosa che non sapevo che cosa fosse.

Non avrei dato la mia chitarra neanche per tutte le riserve di coca di tutti i narcotrafficanti di Medellin. Ma forse quella non era una proposta, era più un ordine.

Cominciai ad allungare il passo, a correre per come potevo, con la borsa Addas e la chitarra. Non c’era nessuno, in quella strada.

Ma Bob Marley e Peter Tosh non mi seguirono.

Ero stanco, non riuscivo a trovare questo hostel. Adesso pioveva forte. Erano le due di notte, e non c’era quasi più nessuno a cui chiedere, per la strada. Provai a mettermi sdraiato su un marciapiede, ma era freddo e pioveva. Mi rimisi a camminare. Finché qualcosa catturò la mia attenzione.

Youth Hostel

 

Era un cartello, non tanto visibile, su un edificio grande, grigio. Youth Hostel. Erano le tre e mezza di notte.

Dietro il ragazzo alla reception, sul muro, c’era un cartello con una siringa e una grande “X” rossa. Sotto, in stampatello, sempre in rosso, la scritta NO DRUGS HERE.

Non avevo ancora visto ragazzi trasformati in fantasmi dall’eroina, sdentati, con gli occhi senza luce, con i movimenti lenti e la voce impastata. Non avevo visto niente dei gloriosi anni ’80 che stavano per cominciare.

Il mio letto era in uno stanzone immenso, saranno state cento persone lì dentro, forse di più. Le finestre erano rotte, mi sembrava ci entrasse dentro tutto il Mare del Nord e tutti i venti del Nordeuropa.

Al buio, trovai il mio letto, mi ci buttai sopra. La chitarra l’avevo legata con uno spago al mio polso. Era un letto a castello, il posto libero era al piano superiore. Misi la chitarra sul materasso accanto a me.

Dal farmi guadagnare mille dollari in una sera al rischio di essere venduta per un po’ di fumo, o di non so cosa, pensai. Ma non ti preoccupare, io starò sempre insieme a te, anche se stasera non abbiamo guadagnato un centesimo, e abbiamo preso tutti e due un bel po’ di umido.

Nello stanzone immenso, a intervalli irregolari ma tutto sommato continui, qualcuno tossiva, scatarrava, aveva improvvisi accessi furiosi e, si sarebbe detto, dolorosi. Dalle finestre entrava, oltre all’umido, un po’ di luce di luna.

Era come una notte di fuochi d’artificio. Solo che erano sonori, ed erano attacchi di tosse, ognuno da un luogo differente, come a teatro.

Alle sette c’era già movimento, chi si vestiva, chi si metteva lo zaino in spalla e se ne andava, chi saltava giù dal letto a castello, chi tossiva come prima. Alle otto, vennero a buttarci fuori tutti. Avevo dormito forse tre ore. Ma ai ragazzi, si sa, basta poco per tornare in forma. Mi incamminai verso la stazione, e presi un biglietto per Firenze.

Ma non contento, volli fare ancora una tappa. E cambiai tre treni, per arrivare, la sera, in un’altra capitale europea.

Avevo diciott’anni, una giacca Adidas di nylon da 2.500 lire, l’esame di maturità fra due giorni. E fu così che arrivai a Lussemburgo.

Immagine tratta dal web

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