Al supermercato, storia di una spesa complicata

DI CARLO MINGIARDI

Non ho mai capito perché lo chiamano supermercato, in egual misura dovresti avere anche un super parcheggio, invece non trovi mai un posto del diavolo per infilare la tua macchina.

Dopo diciannove giri inutili, finalmente la signora “Maria” se ne sta andando via. Aspetti ben dieci minuti con freccia che fa tic toc le sue manovre improbabili per uscire e finalmente ti infili dentro, sei contento come se avessi scalato il K2.

Ti avvii a passo lesto verso la postazione dei carrelli, ma quando arrivi cominci a rovistare tutte le tasche che ti porti dietro, quelle del giaccone, dei pantaloni e della felpa.

Niente, riesci a trovare di tutto tranne quella maledetta moneta da un euro. Sconsolato realizzi che devi tornare in auto dove tieni nel posacenere le monete che ti danno di resto, con la speranza di trovare quella giusta.

Dopo aver cominciato a mandare qualche spergiuro, ritorni alla postazione dei carrelli e ti accorgi con rassegnazione che li hanno cambiati: non servono più monete di alcun tipo, i dirigenti della catena hanno deciso di dare questo ulteriore servizio al cliente.
Sfili il primo che ti capita, una ruota bloccata, lo rimetti a posto e prendi il secondo e ti avvii verso l’ingresso.

Cerchi la lista della spesa che ti ha dato tua moglie, insieme alle mille raccomandazioni sulla tipologia dei prodotti da acquistare, niente. Sparita.
“Caspita! l’ho lasciata in macchina, porc…”.
Lasci il carrello e ti rifai tutta la strada verso il parcheggio guardando per terra tante volte ti fosse caduta. In auto neanche l’ombra del prezioso foglietto, volatilizzato, evaporato, risucchiato dal nulla.

Probabilmente è rimasto sul mobiletto d’ingresso.
Ritorni mestamente verso i carrelli pensando disperatamente a cosa ci fosse scritto su quella diavolo di lista, buio totale:
“dopo vado in farmacia e prendo una scorta di “Multicentrum”, per la memoria”.

Finalmente riesci a varcare la soglia del supermercato, ti raccomandi l’anima al Signore sperando che quello che prenderai sia quello veramente richiesto.

Prima fermata al bancone della frutta, guardi i prezzi e decidi di prendere le arance. Cerchi le bustine, neanche l’ombra, ci sono un milione di guantini trasparenti ma le buste sono sparite.

Opti per quelle già confezionate nella retina, meglio di niente. Inizi a vagare con aria interrogativa tra i corridoi cercando di capire cosa buttare dentro quel carrello, vai a sensazione, latte, biscotti, maionese, yogurt, fagioli, tonno, deodorante, poi ti viene la malsana idea di fermarti al bancone dei salumi.

Prendi in fogliettino, sei il 56 ma il display indica inesorabilmente il numero 21.
Ti parte la solita imprecazione necessaria a scaricare la tensione e ti metti in paziente attesa.

Dopo venti minuti finalmente il tuo turno, vai a caso e prendi un po’ di tutto sperando di azzeccare le cose giuste, ma già immagini la faccia di tua tua moglie quando aprirà le buste.

Stai andando verso la macelleria ma ti viene una improvvisa ispirazione, e ti ricordi del caffè. Con passo spedito e speranzoso ti avvicini allo scaffale, mille tipi di cialde, ma tu sai che devi prendere il Lavazza, niente.
Ti arriva alle spalle la signorina promoter della Lavazza come per incanto.
Dapprima sei sollevato, ma quando vedi il prezzo dell’offerta, ringrazi e svicoli con una scusa prendendo al volo la prima confezione che ti capita.

Non ne infili una giusta. L’ansia comincia a salire a livelli allarmanti. Ti precipiti allora al reparto carni, guardi il colore che dovrebbe essere di un bel rosso vivo e invece quelle fettine hanno assunto uno sbiadito marroncino poco invitante.
Lasci perdere.

Fai di nuovo mente locale e decidi di fare un altro giro per i corridoi affollati, slalom fra signore maledettamente sicure di se, tu al confronto sei un coniglio bagnato.

Raccatti qua e là sperando che le tue mani vengano guidate da una ispirazione divina e quando ritieni che il carrello è decentemente assortito ti avvii verso le casse.

Delle 30 postazioni disponibili è aperta solo una, la fila arriva quasi all’ingesso, le facce delle gente sono livide dalla rabbia, cerchi di capire dove sia la fine di quella coda umana e ti metti con i pochi residui di pazienza che ti sono rimasti in fila.

Dopo quaranta muniti è il tuo turno, il rotolino di carta del registratore di cassa è finito, il tuo bancomat non passa, la cassiera viene chiamata in direzione e la sostituta arriva con aria scoglionata, la signora “Maria” nel frattempo è tornata indietro perché l’offerta sul panettone non è stata fatta e vuole chiarimenti.

Il limite è stato raggiunto:
“se succede un’altra cosa mollo tutto e me ne vado…”
Quando esci da quella bolgia infernale, sei un’altra persona, gli occhi fuori dalle orbite, la bocca asciutta dalla rabbia, le mani hanno un leggero tremore, la pressione sanguigna è salita a livelli preoccupanti.
Però hai una spesa da portare a tua moglie.

Entri in casa con aria indifferente di chi è sicuro di se stesso, appoggi le buste sul tavolo di cucina, tua moglie ti guarda sapendo già che qualche cazzata l’hai combinata:
“amore, l’hai presa la pasta vero…?”

Immagine tratta dal web

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