Amiche d’infanzia

DI ORNELLA SUCCO

C’incontriamo mediamente due volte all’anno, una prima delle ferie e una a Natale.
Qualche volta riusciamo a vederci per fare pranzo insieme e allora il punto d’incontro è una pizzeria del quartiere che ci ha viste crescere o, in alternativa, la bocciofila di un quartiere confinante.

Altre volte abbiamo meno tempo a disposizione e allora ci si trova per un caffè o un gelato e, in quei casi, non ci sono santi, il ritrovo è in piazza Sabotino di fronte a Viecca, poi scegliamo un bar che ci consenta di unire due tavoli e fare quattro chiacchiere in santa pace.

Io, Ileana e Marisa siamo le più fortunate perché abitiamo ancora in zona, tanto per dire io ci metto cinque minuti in auto e loro dagli otto ai quindici minuti a piedi.

Delia, che arriva dal Cit Turin, deve già partire almeno mezz’ora prima, così come Patrizia che abita in zona Campidoglio. Daniela invece deve arrivare da Caselle e Attilia e Margherita abitano a Caramagna Piemonte in provincia di Cuneo e questo spiega bene perché organizzarci non sia facile, anche e soprattutto in considerazione dell’età che oscilla dai 60 ai 70 anni.

Ormai trovarsi la sera è quasi impossibile, soprattutto d’inverno, perché all’idea di trovare nebbia sulla via del ritorno le amiche che abitano fuori città ci darebbero “buca”.

È importante invece esserci tutte, perché quelle poche ore che riusciamo a passare insieme sono magiche e riescono a darci una bella carica vitale, insomma nulla come ritrovare le amiche d’infanzia permette di ridare voce alle bambine e alle adolescenti che ancora vivono nascoste in noi.

Quasi tutte siamo cresciute nel tratto di via Monginevro compreso tra la via Monte Asolone (ribattezzata qualche decennio or sono in via Matilde Serao) e il corso Monte Cucco.

A quei tempi la via Stelvio sulla quale si affacciava il cortile delle nostre case era ancora sterrata e da asfaltare, di fronte al nostro cortile c’era lo stabilimento della Pianelli e Traversa mentre sul corso Monte Cucco si affacciavano altre due o tre piccole aziende meccaniche e poi, fino all’incrocio con il corso Peschiera, si estendevano ancora i campi di grano.

Le case dove abitavamo iniziavano proprio là dove terminava il muro di cinta del Deposito San Paolo dell’ATM, il traffico dei tram e l’andirivieni di tranvieri in divisa che prendevano o smontavano dal servizio, come il papà di Ileana e mio zio Carlo, era uno dei tratti più caratteristici di quell’estremo lembo di territorio sanpaolino.

Ad essi si aggiungevano, in perfetta sincronia con l’inizio dei turni in fabbrica, dozzine di operai in tuta da lavoro che, perlopiù in bicicletta, raggiungevano gli stabilimenti della Lancia disseminati in tutto il quartiere o, come mio padre, la sede della Fiat SPA di via Paolo Braccini.

Noi bambini ci conoscevamo quasi tutti e quasi tutti scendevamo sovente a giocare insieme sul marciapiede di via Stelvio. Giocavamo alla settimana, a nascondino, a guardie e ladri ma, soprattutto, giocavamo a pallone utilizzando come “porta” il cancello della Pianelli e Traversa e fuggendo velocissimi dopo ogni gol per evitare le sceneggiate del custode che non gradiva il rumore prodotto sul metallo dalle pallonate.

Intorno al 1962, finalmente, la fabbrica si trasferì fuori Torino e noi per qualche anno abbiamo potuto giocare a pallone più tranquillamente e abbiamo anche goduto dell’osservazione diretta di una folta colonia di topi grigi che, dalla fabbrica abbandonata, si erano trasferiti nelle cantine delle nostre case e che uscivano a bere nelle pozzanghere incolonnati come soldatini e senza mostrare alcuna paura degli esseri umani.

I nostri genitori però non apprezzavano affatto la presenza dei topi e così dopo qualche mese si auto tassarono per far attuare la disinfestazione che il proprietario non intendeva pagare. Fu così che i topi sparirono e in cortile e nelle cantine comparvero delle esche che, come ci spiegarono le mamme, non bisognava assolutamente toccare perché erano “velenosissime”.

Tutte noi abbiamo frequentato la scuola elementare “Cesare Battisti” di via Luserna di Rorà, Attilia, Ileana e Marisa erano persino in classe insieme e i ricordi di scuola sono un altro momento classico, direi quasi terapeutico, dei nostri incontri.

Ogni volta che c’incontriamo rievochiamo quel passato comune e, soprattutto, parliamo dei nostri genitori, della vita faticosa che conducevano e degli sforzi che hanno compiuto per permettere a noi di continuare gli studi dopo la terza media.

Dopo il diploma qualcuna di noi è andata a lavorare in ufficio e qualcun’altra in banca, c’è chi ha fatto l’insegnante e chi ha lavorato come biologa in ospedale, qualcuna ha viaggiato attraverso mezzo mondo e qualcun’altra non si è quasi mai allontanata dall’Italia ma la cosa sorprendente è che, ogni volta che ci ritroviamo, è come se ci fossimo lasciate ieri pomeriggio sul marciapiede davanti a casa e poi, dopo cena, affacciate ai balconi che davano sul cortile ci fossimo scambiate la promessa: “Te lo dico domani, appena mi lasciano scendere …”

Immagine tratta dal web

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