Amore Panico

DI ANTONIO MARTONE

La parola “panico” è riconducibile al Dio Pan. Possiamo credere che la parola sia riferita all’aggettivo greco che vuoi dire “tutto”.

Si tratta di una dimensione “sacra” perché “intera”, “integrale” – ciò che non consente margini esterni, né vie di fuga. Una dimensione che mi ingloba, trasportandomi all’interno d’un mondo in cui io non sono più niente.

In questo senso, il pensiero della morte, se penetra profondamente nell’animo e se ne impossessa, diviene un’esperienza panica.

La fine di un amore, quando è stato profondo e radicale, fa lo stesso: un amore su cui si è realmente investito, è indubbiamente un’esperienza panica altrettanto potente!

Quando accade, assistiamo all’eruzione dalla viscere della terra di qualcosa di ineluttabile, senza ritorno, irreversibile – e fino a ieri, assolutamente incredibile. Ecco, l’impossibile accade e io non potrò mai prenderne atto.

Sono talmente compenetrato nell’altro da esser divenuto parte di lei/lui e lei/lui è diventata parte di me. Nel giorno in cui comprendo fino in fondo (e ce ne vuole di tempo) che l’altro l’ho perso, l’ho perso davvero, inesorabilmente avrò smarrito anche me stesso.

Quando allora tutte le speranze affondano, io mi perdo con loro! Non riesco più a riprendermi, a recuperarmi: sapendo che l’altra/l’altro vive senza di me, quel mondo comune che avevamo costruito e nutrito svanisce ed io divengo, letteralmente, dis-perato.

Panico. Panico nel senso più proprio dell’espressione: mi sento come uno sputo fetido e nauseabondo, scagliato nella periferia più fredda dell’universo.

Immagine tratta dal web

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