Anche sui campi di guerra nascono versi

DI DANTE IAGROSSI

 

“Porto il mio dolore in un fagotto/ per una strada affollata./ Il dolore grida rombante./ Disturba i passanti:/ “Faccia star zitto il Suo dolore,/ basta rombare./ Gli metta una coperta/ gli dia da mangiare, lo metta a dormire./ E’ solo un dolore,/ tutti ci sono passati”./ Il dolore appoggia al mio petto/ la sua fronte calda./ Ha negli occhi centinaia e migliaia/ di noi giustiziati. Qui e ora./ Romba mio dolore, romba, mio dolore. (Julia Musakovs’ka)

“…intanto la morte va in giro ma lei vuole te/ ti parla e ti insulta ma tu la sua lingua non sai/ ulula geme è un cane o forse è un bambino/ si lagna poi strilla poi latra si sgola si sfiata/ la guerra è morte che più non fa finta di essere muta/ arriva al tuo letto ti guarda ti tocca ti studia/ e poi piano piano ti infila nel lobo la lingua…” (Iryna Suvalova)

“Otto anni a dire: da me c’è la guerra/ per capire finalmente: la mia casa è la guerra/ col treno che va piano a ovest da est/ con la morte che porta la vita/ la notte sta precipitando a terra/ con grappoli di fiori appassiti/ ci entra in bocca coi denti marci di silenzio/ la nostra lingua ora è una chat tra volontari e profughi/ in cui le sirene intonano canti ad Ulisse/ la nostra memoria ormai è la sporca la camicia ricamata della libertà/ il suo lungo cammino da cuore a cuore” (Iya Kiva)

“Sono ovunque e in nessun luogo/ testardamente in fuga/ con la guerra alle costole/ sempre presente./Accarezza le illusioni/ graffia via la fiducia…/ Dentro di me ormai/ solo zolfo e acciaio; l’universo, i miei tristi pensieri, la casa, un bagaglio/ Il dovere odiare l’orda che ci divora/ Dove siano la felicità/ e mio marito lo ignoro/ Invano nascondo il dolore a me stessa/ e a chi ho intorno/ Sono ovunque, in nessun luogo/ e anelo il ritorno”. (Oksana Stomina, “Nessun luogo”)

Si tratta dei versi di quattro poetesse ucraine di oggi, che trasmettono tutta l’angoscia e la disperazione davanti allo sfacelo materiale ed interiore della guerra, l’enorme e costante senso di precarietà tra case sfracellate e rifugi di fortuna.

Ogni conflitto, a prescindere dalle motivazioni che lo generano, porta sempre un cumulo di devastazione e dolore da ambo le parti contrapposte. Ciò si verifica in particolare con la guerra attuale, che non sembra avere una fine vicina e certa.

In tale contesto la Poesia non può certo essere certo ricerca di armonia e bellezza. Secondo Iya Kiva, poetessa e traduttrice, essa non si configura un “atto estetico”, ma soltanto civile, un dovere morale nei confronti del presente e del futuro dell’Ucraina.

Al contrario di tanti altri suoi connazionali, lei non è andata via dall’Ucraina, ma si è spostata, per motivi di sicurezza, dalla sua città natale, Donetsk, prima a Kiev e poi a Leopoli, dove vive ospite di un’amica. Presta soccorso ai soldati, alternando il volontariato all’attività letteraria, di traduzioni e poesie.

Riconosce che adesso una vittoria è fondamentale per sopravvivere. Il suo dramma, comune a tutti quelli che ancora restano, si puo’ racchiudere in una perentoria e tragica frase: “La mia casa è la guerra”.

Più ottimista, almeno a tratti, appare la testimonianza di un’altra poetessa rimasta in Ucraina, Halyna Kruk, secondo cui “la poesia a volte ci aiuta a trovare le parole per i nostri traumi, ha una funzione terapeutica.

Essa “dona semplicemente la forza alle persone di ricordare che una vita senza guerra è possibile. In tempi di guerra, la poesia nutre l’umanità”.

foto da Pinterest

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