Antonio Slavich, all’ombra dei ciliegi giapponesi

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

L’Hanami è la tradizionale celebrazione annuale dei ciliegi giapponesi, la cui pratica consiste nell’osservare gli alberi in fiore, i Sakura appunto, al fine di goderne della bellezza.

E forse non è un caso che siano proprio questi alberi, che ingentiliscono il viale di accesso all’ospedale psichiatrico di Gorizia, a dare il benvenuto ad Antonio Slavich in occasione del suo arrivo. La solitudine e lo spaesamento che lo accompagnano – giovane collaboratore del maestro-padre Franco Basaglia – sembrano consegnargli un ipotetico testimone.

Non vi è serenità in quel luogo, tutt’altro: il triste teatro di vite difficili, sottratte alla quotidianità, per essere relegate in una realtà parallela diversa. Divisa e nascosta agli occhi di tutti – riservata a protagonisti ed addetti ai lavori – eppure esistente.

E proprio questa realtà si trova a fare i conti con la tenace caparbietà dei due rivoluzionari medici, la cui esperienza cambierà per sempre aspetto e ruolo di quel luogo. Vocati ad una missione il cui stesso scopo è ancora da definire, mentre l’obiettivo è già identificato: cambiare.

Cambiare. Unico imperativo per ricondurre a ragione quell’ambiente ostile, da smontare e riassemblare in forma umana, riportando quegli individui spersonalizzati ad essere di nuovo persone.

Piccoli gesti quotidiani, per un percorso tortuoso, ma lento e costante, che trovano origine nel rifiuto dello stesso Basaglia, chiamato in causa per approvare l’autorizzazione ad atroci misure contenitive, il quale, stupito e perplesso, oppone la propria netta resistenza.

Un gesto deciso e sorprendente, di effetto inaspettato e dirompente, che pone immediatamente un dilemma: come procedere? Che cosa fare? Non lo sa nemmeno Basaglia, ma sa che occorre un cambiamento radicale, e solo parlandone sarà possibile ottenerlo.

Quindi, si inizia dalle piccole cose: si eliminano le squallide divise da prigionieri ed al loro posto ricompaiono i vestiti; si dipingono le pareti a colori vivaci; quest’ultimo può apparire un dettaglio banale, ma ne parla anche Gino Strada nel suo libro Buskashi, viaggio dentro la guerra in Afghanistan, per spiegare quanto una sensibilità di questo genere riesca ad influire sull’animo dei malati, i quali trovano nei fiori colorati e nelle altre piccole attenzioni un benessere senza prezzo.

Lo dirà anche Alda Merini, memore della sua personale esperienza: ‘ In manicomio venivamo trattati come cose ‘. Ed è questo che Basaglia e Slavich si ripropongono di distruggere, annientando un sistema profondamente sbagliato, così lontano dalla loro etica e cultura, ma modificabile attraverso azione e collaborazione.

L’incontro tra due persone che comprendono la necessità di agire insieme, coinvolgendo collaboratori ed ottenendo preziosi aiuti.
Un’esperienza che nasce per caso, ma al momento giusto per attraversare e trasformare la realtà.

Non priva di difficoltà, intendiamoci, e nemmeno immune da errori, ma supportata dalla resilienza di chi, conscio dei propri mezzi limitati, li adopera nel migliore dei modi.

Due caratteri diversi, Basaglia e Slavich, che nonostante intelligenza e competenza di altissimo livello, accettano di regredire ad una sorta di stadio primigenio di rapporti e relazioni. Per capire e re-imparare, operando uno scisma atto ad estirpare dolore e violenza, ed ottenere il dialogo.

L’esperienza di Gorizia, da unica rivoluzione del ‘900, come definita da Norberto Bobbio, farà scuola in tutto il mondo, rivivendo in ogni successivo progresso, grazie alla volontà di due professionisti, in grado di connotare la propria missione di infinita umanità.

Il libro esce a nove anni dalla scomparsa di Antonio Slavich, il quale, dopo una lunga malattia, muore nel giorno corrispondente a quello di nascita del suo amico-mentore Franco Basaglia.

Simbolicamente uniti, nella vita e nella morte, la cui eredità rimane tuttora preziosa ed irrinunciabile…

Immagine tratta dal web

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