DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN
Temperamento difficile, quello di Ardengo Soffici, scrittore, poeta, critico d’arte e pittore: una vita spesa in nome della coerenza più personale ed individualista, disposta ad accettare la prospettiva del cambio di idee senza compromessi.
Si può sostenere un artista per poi minarne le precedenti descrizioni, in un simultaneo avvicendarsi di pareri e opinioni destinato a raccogliere critiche, talvolta anche fisicamente violente.
Definito pioniere della critica e protagonista delle avanguardie, in contrasto con l’arte divenuta ormai obsoleta, pronto a recepire l’innovativa originalità degli artisti parigini che incontra durante un profetico soggiorno a Parigi.
Un periodo non facile, quello che Soffici trascorre nella capitale francese, in cui si adatta a sbarcare il lunario tramite modeste attività di scrittura e illustrazione, che tuttavia gli consente di frequentare alcune tra le eminenti personalità dell’epoca, non ultimi Picasso e Apollinaire, e di cementare preziose amicizie, come quella con Giovanni Papini, che l’accompagneranno anche in occasione del rientro in patria.
Una modernità che Soffici vive e assimila. E importa, nel vero senso della parola, materialmente trasportandone in Italia i fulgidi resoconti sulla rivista Lacerba, che fonda e dirige, coraggioso nocchiero, tra i futuristi fiorentini, per poi tornare all’ordine in un rientro toscano volto a ritrovare valori e semplicità di un tempo.
Non teme di lanciarsi nell’evidenziare i versi di un esordiente Rimbaud, allora sconosciuto, mentre non esita a polemizzare con Prezzolini una volta terminata la propria avventura su La Voce di quest’ultimo, nella profonda convinzione di un rinnovamento desto a liberare la cultura italiana di inutili orpelli di ormai appesantito invecchiamento.
E si attira critiche, e finisce coinvolto in risse a fatica sedate dalla polizia – i futuristi lombardi, profondamente offesi dalle sue parole pungenti, non esiteranno a recarsi a Firenze per fargli intendere disappunto e ragioni, e mentre Carrà si limiterà ad una sferzante invettiva armato di penna, Boccioni non si sottrarrà a schiaffeggiarlo, senza tuttavia sopire quella forte e irrinunciabile necessità di apertura e respiro, come riportato da Francesco Perfetti su Il Giornale, in un articolo dall’eloquente titolo, La lezione di Soffici.
Largo all’avanguardia (ma niente cretinate), riecheggiante le dichiarazioni dell’artista: intento a ‘spoltrire’ il mondo circostante, abbattendo confini e liberando la pressante universalità di cognizione e intelletto, in attesa, nemmeno troppo paziente, di manifestarsi.
Spietato con Auguste Rodin, compiacente verso Medardo Rosso, Soffici dichiara e analizza senza sconti, in un mondo di Scoperte e Massacri – dal titolo di un suo celebre scritto, poi ripreso nell’omonima denominazione della mostra dedicatagli, presso la Galleria degli Uffizi di Firenze – che vede contrapporsi la quasi disturbante presenza di capolavori da lui tanto amati ad altri altrettanto denigrati.
Ansioso di, anelante a ogni elemento esotico ed estraneo, con l’indiscusso merito di aver portato in Italia Cézanne – pubblica un lungo articolo su Vita d’Arte, permettendo anche agli artisti in erba di prenderne conoscenza – al contempo assolutamente ostile a qualunque empirismo non adeguatamente ponderato, che probabilmente avrebbe apprezzato i principi ispiratori di Piero Angela: diretti ad aprire la mente, ma non così tanto da permettere al cervello di cascare per terra.
Il sottile gusto di comprendere e rivedere, tornando su passi percorsi ma non cancellati, al contrario rimodulati secondo nuove concezioni in parte legate ad una visione proustiana dell’esistenza secondo cui l’amore per l’ideale, una volta assurto a tangibile realtà, ne inficia l’dea trasformandola in indifferenza.
Lo stesso Fascismo, inteso e vissuto nel senso ribelle di un cambiamento basilare, disilluso nella sua effettiva realizzazione, comunque tradizionalmente radicato.
Nessun rimpianto nell’allontanarsi da giovanili amori artistici del calibro di Böcklin e Puvin de Chavannes, ma nemmeno nel riconoscere, tafferugli a parte, proprio in Marinetti & co. gli unici avanguardisti degni di nota.
E aderisce, sia in ambito pittorico che letterario, al Futurismo, quel movimento inizialmente sprezzato, poi celebrato dalle pagine della sua rivista Lacerba – anche Pablo Picasso, grato per il riscontro in tal modo ottenuto nel nostro Paese, ne inserirà un numero in una delle sue opere – non prima di aver scorciato il borgo natio in salsa cézanniana, ruvidamente pastellato, illuminato di granellosa realtà, e averlo ulteriormente omaggiato ‘dietro’ il ritratto di Mamma Egle, da cui fa capolino una declamata natura morta.
Praticamente impossibile da etichettare, Soffici appare marginalmente delineato nella definizione di Renato Serra, tendente ad ipotizzarlo come né un’opera né un genere, ma semplicemente un dono.
E si sa, a caval donato…
Ardengo Soffici (1879-1964), Casolari, non datato, olio su cartone, 74.5×50.7 cm., Collezione privata
Immagine: web
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