Aria

DI MARINA M. CIANCONI

Da aprile il cielo dal balcone di casa è una festa. Mi siedo spesso fuori la sera per osservare la miriade di frecce nere solcare l’azzurro veloci e giocose. I loro versi squillanti sono un po’ come la voce dell’aria o forse dovrei dire una delle tante voci dell’aria.

Le frecce però sono speciali, sono nate per stare davvero solo in aria, non toccano quasi mai terra. Le loro lunghe ali a falce e le piccolissime e corte zampe impedirebbero loro di rispiccare il volo.

Così in aria fanno tutto, mangiano insetti ma anche ci dormono, come dimostrato da un interessante studio di Anders Hedenström del Dipartimento di Biologia dell’Università di Lund, pubblicato nel 2019 sul Journal of Avian Biology (“Flight activity in pallid swifts, Apus pallidus, during the non‐breeding period”). Le frecce sono i Rondoni.

Appartengono alla famiglia degli Apodidi che etimologicamente deriva dal greco e significa “senza piedi”, proprio per le loro cortissime zampe. Un lungo viaggio per tornare qui da noi a riprodursi, unico momento in cui lasciano il cielo per abitare i loro nidi situati, in città, anche tra grondaie, fessure e buchi dei palazzi più alti.

I piccoli vengono cresciuti lì da entrambi i genitori e dovranno involare prima della partenza di ritorno ai quartieri invernali. L’involo è un momento delicato, molto. Può accadere che un piccolo cada dal nido, non avrebbe più speranze.

I genitori non possono scendere a terra per nutrirlo. Trovare un piccolo di rondone a terra significa portarlo subito in un Centro di Recupero della Fauna Selvatica (la Lipu ne ha vari e anche il WWF) affinché venga cresciuto e curato e poi restituito alla natura (qualche anno fa mi è capitato di trovarne uno in una piazza di Roma: il CRFS della Lipu lo ha salvato).

Alla fine di luglio i piccoli involano, da lì a breve partiranno per il loro primo lungo viaggio verso l’Africa. A settembre le frecce nere sono sparite e l’aria non parla più, diviene muta, silenziosa e l’azzurro si svuota. Il cielo mi ha sempre fatto compagnia, alzare gli occhi in su per guardare chi c’è mi è sempre stato naturale.

Sarà perché sono nata sotto un segno di aria, non lo so, fatto sta che le creature alate, fortunate più di noi, sono la parte più impalpabile ma concreta della mia vita. Alzare gli occhi è facile e questo mondo di ali non mi ha mai fatto sentire sola, ovunque sono.

Le frecce sono un vero spettacolo, con il loro vociare squillante, le osservo girare numerose a volte attorno uno stesso punto nel cielo, poi all’improvviso si sparpagliano ovunque e poi ancora a due, a tre, a quattro, a sei insieme si inseguono rapidissime in una sincronia spiazzante che dà spazio ad acrobatici e repentini cambi di rotta e giravolte mozzafiato. È affascinante.

Perfetti piloti aerei. Inseguimenti e voli sincronizzati così veloci (possono superare i 100km/h) che quasi sfuggono agli occhi. Mi ricordano gli armoniosi e coordinati movimenti di uno stormo di storni al tramonto. Solo grandissima abilità, coordinazione e comunicazione affinate nel tempo evolutivo di queste creature riescono a generare tanta bellezza.

Ancorata a terra, io, lì sotto, li guardo ogni volta stupita. Finché ci saranno i rondoni che tornano ad aprile io sarò sempre grata alla vita e anche un po’ felice.
L’aria è quel luogo in cui noi uomini non possiamo permanere, non possiamo vivere, vi possiamo solo transitare e i nostri danni si limitano a questi passaggi e quindi per fortuna il cielo non può essere stabilmente invaso da noi.

Passa un gabbiano reale, veleggiando, illuminato dall’oro del sole che tramonta, seduta in prima fila sul balcone di casa mi godo spesso questo momento.

La sera gli uccelli si radunano, li vedi passare diretti ai posti dove sosteranno la notte. Allo scurirsi del cielo i Rondoni scompaiono all’improvviso, ritorna il silenzio. Esce qualche pipistrello per la battuta di caccia agli insetti. Non si vedono più passare merli, passeri, rondini, parrocchetti, piccioni, tortore, cornacchie, verzellini, storni… è l’ora della notte.

Sono stata fortunata nella mia vita, ho potuto ammirare e conoscere tante creature alate, grandi e maestose o piccole e veloci, di mille colori e forme, di mille versi e canti, tutte quante rappresentando la più alta espressione di loro stesse, una perfezione di adattamenti sviluppatisi e trasmessi nel tempo fino ad arrivare ad oggi.

Un tempo lungo attraverso il quale questi esseri viventi hanno lasciato il suolo per colonizzare l’aria, i loro corpi si sono modificati per poter volare e ci sono riusciti in modo eccellente.

Osservare un uccello in volo non è solo uno spettacolo ma è la possibilità di assistere al risultato di un lavoro di fino fatto dall’evoluzione, un’opera d’arte o meglio dell’arte della Natura di agire attraverso i suoi meccanismi, che nonostante la loro possibilità di errore, rappresentano la riuscita della vita in ogni ambiente.

Questo è affascinante.
Noi, per quanto potremmo sforzarci non saremmo mai in grado di generare tanta bellezza, complessità e durata nel tempo di una specie nel corso della sua evoluzione. Lo stesso Colosseo, fatto di pietre e arrivato fino a noi, considerato un gioiello dell’antichità, non sarebbe che un granello di sabbia di fronte al piccolo Rondone che con le sue ali nere a semiluna rappresenterebbe l’intera spiaggia di una costa.

Questa è la differenza tra le nostre opere e l’opera sapiente della Natura che si è espressa nell’aria ma come anche nell’acqua, nel suolo, sotto il suolo e in ogni elemento possibile di questo pianeta.

L’aria non è solo un inno alla vita, perché è di aria che riempiamo i nostri polmoni, ma è anche quel luogo non luogo a cui ciascuno di noi pensa quando cerca la propria libertà.

E lo diciamo chiaramente: “ho bisogno d’aria!”. L’aria per me è dove vorrei poter provare almeno una volta a stare, come sarebbe bello sorvolare, magari prendere una termica e salire in alto, molto più in alto delle Croci sui monti. Come sarebbe bello da lassù guardare il mondo di sotto, veleggiare, spostandomi leggera ovunque i venti mi accompagnino.

Gli uccelli provano tutto questo. Imparano a conoscere l’aria e alla fine l’aria è casa loro. Noi abbiamo ossa troppo pesanti, loro hanno invece l’aria nelle ossa leggere e cave. Loro hanno sfidato la forza di gravità e hanno vinto.

Immagine free (Pixabay)

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