Avatar

DI GIOVANNI BOGANI

Stasera, a una cena in questo festival, un ragazzo molto intelligente, con una specie di fuoco negli occhi, mi ha detto che negli Usa hanno messo a punto una tecnologia che riesce a coordinare in un sistema tutte le nostre foto di Facebook, quelle di Instagram, i nostri post, i nostri video, i messaggi vocali inviati su Whatsapp, i nostri spostamenti registrati dal telefono, le nostre ricerche su Google, le nostre mail.

I video che abbiamo caricato su Youtube. E alla fine, beh, alla fine riescono a costruire degli avatar, dei nostri doppi. Ologrammi che hanno la nostra forma, la nostra corporatura, la nostra voce.

Ma non è questa la cosa che mi fece rimanere con la forchetta a mezz’aria, immobile come la gente in quel film norvegese, “La ragazza peggiore del mondo”, e lei che corre fra la gente ferma. Il fatto è che quegli avatar potevano rispondere.

Rispondere alle tue domande. Con risposte sensate, coerenti con tutto il materiale che avevano immagazzinato. I punti di vista, le conoscenze, le opinioni, le parole ricorrenti.

Quegli avatar potrebbero parlare come te, e rispondere come avresti risposto tu, fare forse le occhiate e le smorfie e stringere la bocca come facevi tu. Se solo avessero abbastanza materiale, se solo uno fosse abbastanza ricco da farlo realizzare.

Manca poco. Fra poco potremo parlare con i nostri morti. Un genitore potrà parlare con un figlio scomparso: e lui potrà rispondergli male, ribelle, sprezzante, proprio come quando era vivo.

Se saranno mai messi in produzione, questi avatar, questi doppi, questi tentativi dell’uomo di sostituirsi alla creazione, di creare l’immortalità, potremo chiuderci in casa per sempre, e parlare con i nostri cari. Con te. Che non sarai mai te, ma le assomiglierai in modo pazzesco, commovente e terribile.

Il cinema diventerà la preistoria: il primo passo di questo immenso tentativo dell’uomo di imbalsamare il tempo, di fermare gli attimi fuggiti, di avere per sempre vivi, e belli, Clark Gable e Greta Garbo, Paul Newman e James Dean. Il cinema non era che un inizio.

Potremo avere nostra madre, nostro padre che reagiscono alle nostre domande, che rispondono come vogliono loro. Il tuo ologramma, mamma, mi volta le spalle e se ne va in cucina, a vedere il quiz della sera col presentatore che ti rassicura. Potrò chiedere al tuo ologramma se ha voglia, qualche sera, di cenare con me, che non ne posso più di mangiare da solo.

Potrei smettere di parlare con te, in questo monologo infinito in cui tu non rispondi. Anche qualche banalità, anche “è buona questa minestrina” mi andrebbe bene.

O potrei portarti in terrazza a guardare il crepuscolo viola, nelle sere di giugno, e capire che, come sempre, non te ne importa nulla.

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