Avrei voluto essere un medico

DI DANIELA LUCCHESI

 

Ammiro i volti sfiniti di stanchezza dei medici e degli infermieri. Stima, ammirazione, timore, ma anche un sentimento indefinito che forse potrebbe definirsi sana invidia è quello che provo nei confronti della categoria medica.

Invidio il loro trovarsi in prima linea, laddove la vita ti richiede un impegno massimo a cui non puoi sottrarti.

Sentirsi invadere dal senso pieno di esistere, di essere utile, addirittura fondamentale per i tuoi simili. Ogni giorno richiede un atto di coraggio estremo da compiere nella semplicità sfibrante di un lavoro prezioso, senza pausa, senza tregua, minuto dopo minuto in prima linea, a costo della vita per salvare vite altrui.

Essere nel posto giusto al momento giusto, rispondere con prontezza e coraggio ad una chiamata impellente e ineludibile.

Forse avrei voluto anch’io che la mia esistenza fosse investita da un ciclone di senso e fosse assolutamente necessaria e che i gesti quotidiani che il mio lavoro richiede improvvisamente diventassero gesti eroici.

Mi dicono che anche il mio lavoro di insegnante, condotto da casa, dietro uno schermo, sia utile.

Fondamentale mantenere i contatti con i ragazzi smarriti, offrire spunti di riflessione, continuare ad insegnare, educare forse…

E’ che vorrei sentirmi più indispensabile, essere capace di mettere in pericolo la mia vita per salvare quella altrui.

E lo vorrei fare per amore, la forma più pura di amore incondizionato per una donna o un uomo sconosciuti, magari anziani con tutta la fragilità umana dei vecchi che mi ha sempre commosso, quell’amore che cerco sempre di afferrare un po’ a casaccio nella mia vita ora finalmente lo potrei possedere a piene mani e donare.

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