Bartolomeo Bezzi, Bacio di sole a Verona

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Bartolomeo Bezzi nasce a Fucine, un piccolo paese del Trentino-Alto Adige, e si forma presso l’Accademia di Brera, anche se la lascerà presto, già intorno ai vent’anni, colpito e influenzato dagli ambienti degli Scapigliati e del Verismo lombardo.

Lo specifico rapporto empatico che sviluppa con la natura, lo porta ad elaborare una caratteristica presa di contatto diretta con la realtà, estrinsecantesi in un recupero della tecnica paesaggistica che porterà a qualificarlo, secondo l’idonea definizione di Stefano Zanella per Questotrentino, come paesaggista autentico finalmente in diritto, e dovere, di essere riscoperto.

La fama dell’artista gode tuttavia di fasi alterne, sorte peraltro comune a diversi colleghi dell’epoca, tanto che nonostante ai suoi tempi sia già piuttosto conosciuto, e con Eugenio Prati e Giovanni Segantini sia considerato tra i maggiori pittori trentini del secondo Ottocento, viene in realtà rivalutato nel corso degli anni, tanto che, a fronte di alcuni, ottimi e recenti, riconoscimenti espositivi, beneficia di una sola mostra personale, a Trento, nel lontano 1909.

Una pittura vera e diretta, a tratti venata da una sottile, insopprimibile malinconia, quella che contraddistingue le opere del Bezzi, la cui infanzia risente della precoce morte del padre: un episodio che influirà sull’intera sua esistenza, oltre a connotare indelebilmente le sue opere.

Quando sul finire del diciannovesimo secolo si trasferisce a Venezia, città in cui rimane fino al 1910, entra in contatto con l’arte di Guglielmo Ciardi e Giacomo Favretto, è proprio grazie a questi ultimi che scopre la congenialità di un genere, quello del realismo appunto, che permea il suo animo e ne determina preziosi cambiamenti, oltre a deviazioni originali e innovative.

Bezzi figurerà infatti tra i Fondatori della Biennale, a conferma della propria notevole apertura mentale, pur mantenendo, praticamente per tutta la vita, uno stretto legame con la sua terra natale, in particolare con la Val di Sole in cui ambienterà numerosi dipinti.

Il suo sguardo, indiscutibilmente rispettoso del vero, quand’anche filtrato dalle emozioni personali, fa sì che venga sovente accostato al celebre Camille Corot, e qualcuno ne ha descritto la particolare produzione affermando, in modo davvero interessante, come in essa le descrizioni topografiche si trasformino, praticamente, in condanne.

La stessa campagna romana, nell’interpretazione del Bezzi, anziché riprendere le consuete note improntate ad una serena solarità, finisce per apparire desolatamente malinconica, una caratteristica meno evidente nell’opera riportata, Bacio di sole a Verona, del 1914, ma comunque mai trascurata.

Un aspetto considerato nell’ottimo articolo di Giuseppe Anti, per Verona In, in cui si menziona la mostra a tema presso il MART di Rovereto, curata da Alessandra Tiddia, dall’eloquente titolo La coscienza del vero. Capolavori dell’Ottocento.

Da Courbet a Segantini, in cui, attraverso l’incredibile filo conduttore del film Senso, di Luchino Visconti, una dicotomica visione mette continuamente in correlazione le scene cinematografiche con il vero autentico degli artisti dell’Ottocento…

Bartolomeo Bezzi (1851-1923), Bacio di sole a Verona, 1914, 121×85.5 cm., Mart-Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Immagine: web

 

scrignodipandora
Latest posts by scrignodipandora (see all)

Pubblicato da scrignodipandora

Sito web di cultura e attualità