Bianca, quei momenti in cui il mondo le sembrava perfetto

DI ANTONIO MARTONE

 

Era convinta di non riuscire a pensare. Era sicura, cioè, che il pensiero in lei si fosse estinto. Eppure parlava, si muoveva e riusciva perfino a scrivere. Nonostante ciò, per lei non c’era alcun dubbio: nella sua mente, non v’era alcun segno di qualcosa che fosse pensiero.
Dirle che la sua lucidità, tesa e drammatica, non si conciliava affatto con l’assenza del pensiero, del resto, era del tutto vano. Farle notare che il suo eloquio era troppo ricco per un individuo che non pensa, anche questo era inutile.

Bianca infatti raramente stava zitta: il suo linguaggio era continuo, incalzante, ossessivo, argomentato. Superfluo chiederle come potesse affermare con tanta consapevolezza (di pensiero) che non vi fosse più alcuna coscienza di nulla dentro di lei. Come poteva non comprendere che pensare di non pensare era pur sempre un pensare?
Anche nella sua situazione, inoltre, come in tutti i paradossi drammatici, era presente anche qualcosa di comico. Per esprimere la sua amarezza, infatti, Bianca urlava e quando lo faceva rinfacciava per filo e per segno ai suoi genitori le colpe più diverse. Gliele

spiegava molto bene, a voce alta sì, ma assai chiaramente, e poi ne concludeva che la responsabilità del fatto che lei non avesse più capacità di pensiero se la sarebbero dovuta prendere senza sconti. “Mi avete costretta a non pensare più”, urlava. “E lo avete fatto per questo, per questo, e per questo…”.

Bianca ha ventidue anni e assume somministrazioni robuste di Seroquel tutti i giorni insieme al litio. Quando era andata a sottoporsi a loro, i medici avevano prontamente imbastito la loro brava diagnosi: Bianca era affetta da una malattia che le procurava un umore eccitabile e incostante. Parlavano anche di fasi maniacali e di disturbo bipolare. Erano convinti – sebbene non tutti nello stesso modo e con la medesima forza – che proprio a queste patologie si dovesse attribuire il fatto che dormisse poco, e così pure il suo parlare concitato ed anche il susseguirsi rapido dei pensieri che si svolgevano nella sua testa.
Bianca però non avvertiva il suo pensiero e le sembrava che il suo stesso corpo fosse anestetizzato.

Sentiva costantemente una vocina che le chiedeva di alzarsi ma, quando cercava di attivarlo, il fisico non reagiva. Le spiegavano che, se la sua mente fosse totalmente inaridita, non avrebbe avvertito neppure la necessità di chiedere aiuto. Le dicevano che avrebbe dovuto imparare ad ascoltarsi e anche ad ascoltare gli altri, con attenzione e cura, iniziando dalle piccole cose. Anche le più banali. Lei non sentiva. C’era qualcosa in lei che allontanava le voci degli altri: in tal modo, queste arrivavano da lei sfocate, lontane e non percepibili.

Il terapeuta le diceva che, quando si ha la forza di urlare e di raccontare il proprio dolore, si dispone anche dell’energia necessaria per non farsi inghiottire dal nulla. Bianca però aveva girato l’intero paese fra Istituti di cura e medici di ogni genere. Era stata ricoverata varie volte e aveva conosciuto tanta gente che versava nella sua stessa situazione. E, tuttavia, non era mai riuscita ad imparare nulla da nessuno. Chissà, forse gli altri non erano stati chiari. Forse lei non aveva sentito o forse il suo demone le aveva imposto di non sentire.

Sarebbe occorso entrare in contatto con il suo animo – le dicevano – ma poteva farlo se il suo demone si annidava proprio nel suo animo?
Accusava il padre di averle consigliato la prima volta di prendere ansiolitici ed antidepressivi: lei non voleva. Era violenta – anche fisicamente – con il padre e la madre. Eppure, di qualsiasi cosa fossero responsabili, affidandola ai medici, avevano riconosciuto il loro limite. Non sarebbe stato giusto – pensava talvolta – che lei stessa si assumesse le proprie responsabilità? Questi pensieri, tuttavia, non duravano neppure il tempo necessario per poter essere formulati. Altre voci avevano la meglio.

Piccole alcune, altre più fragorose: con suoni stridenti o meccanici, quelle voci si collocavano nella mente come una fascia di nastro appiccicato sulla bocca. In quei momenti, non riusciva a parlare. Si convinceva di non poter parlare mai più e allora meditava di uccidersi.

Bianca aveva una risorsa. Era una grande risorsa che costituiva l’unica ancora di salvezza. Grazie a tale risorsa, potevano nascere i soli momenti in cui si sentiva un individuo pensante. Accadeva così che, fin da piccola, quando si avvicinava al mobile decorato della sua camera da letto ed estraeva quel quadernetto che, una volta, tanti anni prima, le aveva regalato la mamma, qualcosa cambiava profondamente nel suo cuore e nella sua mente.

In quelle pagine, da anni, scriveva tutto ciò che le passava per la mente. Si raccoglieva su quei fogli scarabocchiati: di giorno o ancor meglio se nel cuore della notte, e scriveva, scriveva…
Soltanto in quei momenti il mondo le sembrava perfetto.

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