Bo Bartlett, Life during wartime

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Definire James William Bartlett, Bo, ed identificare il suo davvero peculiare modo di esprimersi, è impresa piuttosto ardua.

Indubbiamente legato a quel filone artistico, estremamente popolare, definito realismo americano, che vede tra i principali esponenti Edward Hopper ed Andrew Wheth, mostra l’originalità tipica di chi ha saputo assimilare ed esprimere i concetti dominanti il panorama artistico d’oltreoceano degli anni ‘70.

Bartlett, artista contemporaneo nato nel 1955, vive e coglie il momento in cui arte concettuale, minimalismo ed astrazione cominciano ad imporsi, ricercando un effetto, talvolta non immune dal sollevare forti perplessità nel pubblico, in grado di trascendere l’opera stessa, e pur non celando un’indubbia influenza surrealista, ricollegabile a mostri sacri come De Chirico e Dalì, trova il modo di elaborare tali nuove teorie contaminandole attraverso una imprescindibile base d’origine.

Muovendo dal principio ispiratore secondo cui occorre lasciare che sia la radice a nutrire la corona, l’artista rimane profondamente legato a modelli familiari di vita vissuta e scene ordinarie di quotidianità, in cui non mancano riferimenti autobiografici.

Una sorta di dimensione onirica seppur ancorata alla tradizione iconografica americana, riletta attraverso una immobile teatralità, le cui luci e colori, densamente fissate, si propongono in contesti visionari collocati fuori dal tempo.

L’immobilità di Bartlett non è la fissità rivelatrice della malinconica solitudine di Hopper, ma rievoca atmosfere metafisiche ed emotive atte a trasformare anche una scena ordinaria, come quella riportata, proporzionalmente ad una sensibilità inconsueta e preziosa.

L’autore è magnificamente descritto nell’articolo, di Alessia Cortese per la rivista indipendente Objects – L’America di Bo Barlett – in cui si pone l’accento sulla tradizione del realismo americano, seguito e assimilato, infine restituito tramite immagini di assoluta, apparente perfezione, tuttavia non scevra di riferimenti simbolici dal sapore simil mitologico.

Barlett rilegge scene e contesti apparentemente ordinari sintetizzandoli entro una artificiosità declamatoria che non teme l’esagerazione. Anzi: forse è proprio quello che ricerca, evitando di soffermarsi su scene con la pretesa di essere credibili.

Le immagini dell’artista americano non pretendono, ma dichiarano, e questo risulta piuttosto evidente anche in Life during wartime, la cui emblematica fissità sfocia in una operazione di lampante maquillage, sintetizzando un episodio all’apparenza reale, ma riproponendolo alla stregua, se non ai livelli, di una scultura iperrealista.

La differenza è nella sorpresa, o meglio nella capacità di essere sorprendenti, poiché Barlett non desidera stupire l’osservatore sconvolgendolo, ciononostante in lui si percepisce un’ispirazione ai limiti del mitologico, in cui i protagonisti assurgono a ieratici cantori di una subdola realtà.

Punti di riferimento che si propongono effimeri, con la consapevolezza fondata di una confermata teoria.

Lungi dall’essere ambiguo, come sovente accade in tempi attuali, Barlett rinuncia ad un aspetto propagandistico in virtù di un tenace ammonimento, atto a ricordare ciò che era e ciò che è stato senza perdere di vista ciò che è…

Bo Bartlett (1955), Life during wartime, 2018, olio su tela, 152.4×203.2 cm., Collezione privata
Immagine: web

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