Cadute con stile…

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Se dovessi attribuire un coefficiente di divertimento ai filmati di Paperissima, probabilmente classificherei al primo posto le cadute.

Per carità, non che l’imperizia di improvvisati muratori o idraulici non meriti, ma in quel caso entra in gioco il personale retaggio culturale ereditato da mio babbo, che mi porta ad irritarmi al cospetto dei cosiddetti ‘lavori fatti male’.

I ‘lavori fatti male’, a casa mia, erano praticamente un’istituzione, con la frase ‘Se vuoi una cosa fatta bene, te la devi fare da solo’, idealmente scolpita alle pareti: qualunque cosa vagamente superiore ad un movimento casuale, che comportasse inavvertitamente un risultato non propriamente accettabile, si fregiava immediatamente della suddetta definizione.

Detentrice ufficiale del titolo, conquistato in anni e anni di bottiglie avvitate male, stoviglie mal riposte e disordine più o meno palese, certamente mia nonna, impietosamente ribattezzata Re Mida, con la specificazione di ‘colei che trasforma tutto ciò che tocca…ma non in oro!’.

Io, orgogliosamente sul podio, mi piazzavo al secondo posto: la mia incredibile capacità di rompere bicchieri – vanto un servizio da sei di quelli infrangibili, esplosi in una quantità incommensurabile di schegge di vetro – insidiava da vicino la medaglia d’oro, per quanto anche piantare chiodi rigorosamente storti – nemmeno il Manuale delle Giovani Marmotte riusciva a redimermi, roba da Knaller Frauen, nota serie televisiva comica tedesca – e rovesciare inavvertitamente scaffali, contribuiva ad una evoluzione a tema lenta ma costante.

E comunque, rispetto ai capitomboli, il livello rimane inferiore. In effetti, non è che si capisca esattamente che cosa ci sia di tanto esilarante in qualcuno che casca, tanto che se lo chiede anche Adriano Celentano ne Il bisbetico domato, mentre Ornella Muti tenta di spiegarglielo senza tuttavia ottenere il risultato sperato, almeno fino a quando non è proprio lei a cadere inducendolo ad una sonora risata, a quel punto incoerentemente elevata al rango di insulto, ma sta di fatto che è così.

Da questo punto di vista, onestamente, posso ammettere di occupare un posto di tutto rispetto, con un curriculum degno di uno stunt-man : non solo esistono filmati amatoriali in cui si sente chiaramente l’operatore farsi beffe di me in situazioni equipollenti – prontamente fatti sparire, sia quelli che l’operatore – ma si racconta ancora nei bar di quella volta che, presso l’isola ecologica locale, in procinto di scaricare un mastello di potature del giardino, e rifiutando sdegnosamente di farmi aiutare dagli altri utenti – uno dei quali, peraltro, strillava come un ossesso per la presenza di uno scarafaggio vicino al cassone del fogliame, noto ‘incidente’ all’ordine del giorno, quindi non è dato sapere che tipo di aiuto intendesse offrire – mi ritrovai praticamente appesa al parapetto di protezione, prontamente afferrata per una caviglia dall’inserviente, tipo Teti e Achille, evitando per un soffio di finire a testa in giù tra foglie secche e aghi di pino.

Il mastello, delle dimensioni approssimative di una cisterna, venne in seguito recuperato a parte, tramite un apposito strumento – vedi rastrello usato, con rebbi piegati in guisa di uncini, perfettamente adatti alle maniglie del recipiente – suscitando la gratitudine di un paio di insetti temporaneamente dimoranti sul fondo e di soprassalto destati dal parapiglia.

Per tenere fede a tale mia encomiabile qualità, ho ritenuto opportuno battezzare in tal senso anche il campo di golf, che di recente ha visto una delle mie migliori performance, fortunatamente unico testimone dato che nell’occasione ero praticamente sola, se escludiamo una coppia di golfisti con kart, comunque a discreta distanza, e troppo occupati a rimproverarsi a vicenda le insufficienti prestazioni ottenute col driver.

Nel passaggio tra una buca e la successiva, onde evitare, diligentemente, di passare sul green col carrello, ho ritenuto opportuno, anziché transitare sul sentiero appositamente previsto, costeggiare il collar e tagliare rapidamente in adiacenza di una piccola, ma ripida scarpata, ignorando in toto le avverse condizioni atmosferiche, nello specifico fitta nebbia ed insidiosa umidità.

Quest’ultima, abbinata ad un passaggio, a quel punto obbligato, di erba sufficientemente alta, si è rapidamente trasformato in una sorta di scivolo naturale, ed in men che non si dica, poiché sprovvista di slittino, mi sono ritrovata catapultata in fondo all’avvallamento adiacente, col carrello franato addosso ed il cappuccio del driver sulla testa.

Ringraziando la mia provvidenziale elasticità, dovuta ad anni di sport, tra cui pilates e yoga, sono riuscita a rialzarmi piuttosto agilmente, seppure vagamente dolorante, constatando l’ennesima matita – per compilazione score – rotta ( solitamente viene smarrita durante le operazioni di carico e scarico ) e meditando seriamente sul perché io insista ad aggirarmi sul campo di gioco senza le apposite calzature all’uopo fabbricate, dettaglio, in una scala di priorità, da affrontare definitivamente al più presto.

Non tutto il male vien per nuocere, nel frattempo … che botta che gu pres…( che botta che ho preso)

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