Camicie

DI GIOVANNI BOGANI

 

Quando andavo via da casa tua, non prendevo l’ascensore. Scendevo gli stessi quattro piani che aveva fatto papà per cercare il mio ciuccio, cinquant’anni prima.

Tu, lassù, non chiudevi la porta finché non ero in fondo, finché il portone non faceva “clic”. Come se tu volessi sentire fino all’ultimo momento la mia presenza.

O assicurarti che tutto andasse bene, fino a quando tuo figlio non entrava nel mondo, e spariva dal tuo udito, oltre che alla tua vista.

Sul letto dove anni prima dormivo, tenevi le mie camicie, stirate.

Era l’ultima cura verso la mia persona: l’ultimo scrigno da custodire che avevi. Le mie camicie. Da quando, a quattordici anni, avevo iniziato a lavorare al bar, non vi avevo mai chiesto una lira. Non ti avevo concesso mai di regalarmi niente. Niente. Da quando avevo poco più di vent’anni, ero andato ad abitare da solo.

Con le abitudini di un monaco trappista. Tutto da solo, tutto con i soldi che guadagnavo, con la bicicletta arrugginita, con le scarpe da Charlot, con lo zaino fatto con un panno marrone e una corda da tappezzeria. Into the Wild.

Io ero Into the Wild, anche se nessuno lo sapeva. Ho sempre cucinato le mie uova, la mia pasta e le mie pizze con meticolosa, ossessiva monotonia.

E ho sempre tenuto più o meno in ordine, l’ordine precario e spettinato in cui vivo, la mia casa e la mia vita. Lavavo tutto, con un catino verde di plastica e i guanti gialli Vileda.

Ma le camicie me le volevi stirare tu. Anzi, volevi farle stirare a Vera, il tuo angelo custode. La signora capace di tenere in un ordine da museo la tua casa, e di far sembrare che il tempo non scalfisse niente, non corrodesse niente, neppure te.

Io dovevo andare ai festival, alle conferenze, alle presentazioni dei film. Le camicie stirate erano necessarie, come la divisa ai soldati. Io le stiravo impiccandole a una gruccia appena fuori dalla lavatrice, e pregando Dio; ma non era il sistema migliore. E allora, stese sul letto dove anni prima dormivo, apparivano come soldatini, come figurine di calciatori, squadre intere di camicie.

Un 4-3-3 di camicie bianche, un 3-5-2 di camicie colorate. Mi sembravano una ricchezza immensa, immeritata. Ricchezza indicibile, come se mi avessero offerto in dono tutti i dischi di De Gregori disposti ordinatamente.

C’erano le camicie bianche che compravo a Ciao Ciao a 5 euro e 99, e che mi sembravano bellissime, lì distese, pronte alla sfilata, pronte per Buckingham Palace o per il Teatro Antico di Taormina, o per quando avrei ricevuto il Nobel o il Pulitzer o l’Oscar.

Con quelle camicie lì, stirate perfettamente, avrei fatto un figurone. Le mettevo nello zainetto, con cura, attento a non spiegazzarle, perché lo sentivo perfettamente, quanto fossero un patrimonio. Di amore. E scendevo le scale, senza sentire mai richiudersi, dietro di me, la tua porta.

Immagine tratta dal web

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