Canto alla luna

DI MARINA M. CIANCONI

Stasera riprendo a scrivere perché non posso proprio farne a meno. Devo salutare Qualcuno che se ne è andato due giorni fa, il 4 dicembre 2022, ma io purtroppo vengo a saperlo solo ora. Viveva in una porzione di bosco montano, da solo, ma non proprio.

Tredici anni fa la sua famiglia forse lo aveva abbandonato o forse lui, indebolito dalla salute e cucciolo, era semplicemente rimasto indietro fino a perdersi.

Il destino volle che venne trovato e salvato da una persona speciale, generosa e che amava a non finire tutte le persone non umane come lui. Era un piccolo cucciolo impaurito, infreddolito, affamato e solo al mondo. Fu così che anche lui, a sua insaputa, divenne speciale proprio come chi lo aveva salvato.

Ci sono legami che l’uomo odierno ha dimenticato, seppelliti sotto pesanti e veloci stratificazioni culturali. Questi legami, così ancestrali, così lontani dentro un passato che ci ha visto per millenni parte integrante del mondo naturale, oggi si sono spezzati, non esistono più dentro la maggior parte degli umani.

Sfumano così significative presenze oggi ancora vive ma sempre più relegate da noi in aree ristrette e frammentate, prigioni aperte le cui grate sono le nostre città, i nostri centri abitati, le nostre infrastrutture, le nostre strade, le nostre barriere, i nostri campi coltivati, i nostri allevamenti, i nostri impianti per produrre energia, le nostre industrie, i nostri invadenti mezzi di trasporto terrestri, acquatici e aerei, le loro grate, in due parole, siamo noi e i nostri artifici.

Io ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere questa meravigliosa creatura grazie alla generosità di quella persona speciale che l’ha salvata, era un mio amico. Il cucciolo è cresciuto nel tempo, a volte si faceva vedere, a volte si nascondeva nel sotto bosco, ma lui e il mio amico avevano un legame forte, di quei legami che non hanno bisogno di parole, di sovrastrutture, perché sono scritti dentro quella capacità antica di entrambi di saper entrare in relazione con qualcun altro.

Forse questa capacità è in parte scritta dentro i geni che ci portiamo appresso dalla notte dei tempi.
Eppure lui a quattro zampe e il mio amico a due gambe, così apparentemente diversi, hanno saputo giocare con questa fantastica maniera di stare al mondo, ereditata dagli avi, che si chiama socialità.

All’interno di questo gioco, in cui si sono sperimentati l’un l’altro, è tornata a galla tutta la potenza che la natura mette in atto quando si tratta di farsi intendere, comunicare, legarsi, affezionarsi e infine amarsi.

Tutto questo, che spesso diamo per scontato noi che padroneggiamo l’uso delle parole, è invece insito anche in tutti coloro che nel mondo naturale di parole non hanno bisogno, ma, proprio come noi, hanno un intenso e forte bisogno di creare legami. Un bisogno vitale.

E così il mio amico era il legame vitale di lui, che, per strane vie del caso, non era più solo. Io so che tra loro c’era questo legame forte, lo so perché l’ho visto, lo so perché ho avuto la grande fortuna di vederli insieme.

Ho avuto l’immenso regalo di incrociare per pochi minuti i suoi profondi occhi gialli, così fieri, selvatici, veri e così infinitamente appartenenti a quel mondo naturale che noi non sappiamo più percepire, sentire ed esserne parte.

Lui sì, lui percepiva ogni cosa di ciò che lo circondava, lui sapeva leggere il bosco, la montagna, le stagioni, il tempo, gli altri viventi.

La sua vita è stata a metà tra la sua più intima e selvaggia essenza e una finestra che a volte si apriva verso quell’unico strano bipede che lo curava e lo aveva cresciuto. Era sospeso tra due mondi, senza più la possibilità di tornare completamente nel suo di mondo, quello dei suoi simili, quello della libertà.

Chissà cosa deve aver pensato magari in qualche notte illuminata dalla luna, ascoltando da lontano i richiami malinconici di altri come lui attraversare le valli. Forse in quei momenti si sarà sentito diverso, solo. Avrà avuto voglia di ululare forte e a lungo al chiarore della sera? Forse lo avrà fatto, forse no… chissà.

Forse avrà avuto paura di rispondere ai richiami, nessuno infondo glieli aveva mai trasmessi, nessuno gli aveva mai insegnato che lui era un Lupo. Ma lui lo era, lo era davvero.

Il mio amico non ha mai voluto che perdesse la sua natura selvaggia. Mi disse che gli avrebbe trovato una compagna, una Lupa che, come lui, avesse avuto la stessa sfortunata sorte di non poter essere più reintrodotta in natura.

Non fece in tempo. Arrivò l’Urlo della terra, arrivò la terribile “Notte della Polvere”. Era il 2016. Tutto cambiò. Oggi Lupo Merlino ha raggiunto il mio amico Massimo nelle infinite montagne dell’anima.
I miei cari Monti Sibillini piangono la scomparsa di questo loro figlio speciale. Io non ho più avuto la possibilità di rivederlo. Dopo l’Urlo io non ho più avuto la possibilità di rivederli. Questo ha aperto una ferita che non si chiuderà più.

Merlino era un Lupo e Massimo era un Uomo. Si sono incontrati un giorno e sono cresciuti insieme, quel tipo di crescita che capita solo a pochi fortunati esseri umani che ancora possono sentirne il richiamo.

Sono uomini e donne che si tengono in ascolto, che per tutta la vita rincorrono quella voce materna che li ha originati, cha ha originato tutto, miliardi di anni fa.

Sono entrambi appartenuti profondamente alla Natura e hanno avuto l’intelligenza di sapersi conoscere e camminare insieme, rispettando ciascuno quella necessaria e vitale diversità dell’altro con cui la stessa Natura ha plasmato il mondo.

Proprio pochi giorni fa, a fine novembre, esce la notizia che gli eurodeputati si sono espressi sulla questione Lupo in una risoluzione che mira a indebolirne lo status di specie protetta, faticosamente acquisito dagli anni ‘70 in poi, aprendo la strada agli abbattimenti.

Ma il Lupo non è una questione, è un essere vivente e ciascun Lupo è un individuo con il suo carico di esperienze, conoscenze, con un mondo interiore ricco e altamente sociale e soprattutto con un ruolo ecologico fondamentale che la Natura stessa gli ha assegnato.

Chi siamo noi per giudicarlo? Chi siamo noi per emettere sentenze di condanna? Chi siamo noi di fronte alla Natura che tutto genera ed equilibra?
La storia di Merlino e di Massimo ci ricorda che il Lupo e l’Uomo hanno un profondo legame, che sanno stare insieme e possono farlo.

Ciascuno ha diritto alla propria esistenza, direi meglio, diritto alla coesistenza. La violenza che da sempre abbiamo riservato al Lupo non è la strada né eticamente, né ecologicamente, né etologicamente corretta da perseguire. Siamo figli di una stessa madre.

Riflettiamo e chiediamo tutela e diritto all’esistenza per il Lupo a chi, seduto sulle poltrone del Parlamento Europeo, in un ambiente così artificioso e lontano dal mondo naturale, ha forse dimenticato o non ha mai conosciuto la vera madre da cui è nato.

Ciao piccolo grande Lupo, grazie di avermi concesso il tuo sguardo in quei pochi ma eterni attimi, non ti dimenticherò finché la tua luna si alzerà sulle creste dei nostri monti.

Lievemente posa la tua anziana vita;
come la terra, madre, ti è stata giaciglio e rifugio,
così il bosco, paterno, non ti abbandona.
Sfilano le stelle, ad una ad una,
qualcuna cade nell’infinito,
qualcuna aspetta ancora il tuo canto alla luna.

Massimo ha dedicato un libro a Merlino:
“La notte della polvere”, Massimo Dell’Orso e Maria Cristina Garofalo, Zefiro Books.

Immagine free (Pexel)

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