Carbone, pesci e caffè

DI FABIO BORLENGHI

 

Carbone, pesci e caffè: un quadro di Picasso? No, è una delle tante immagini contraddittorie del mondo in cui viviamo.
Cominciamo dal carbone.

Quest’estate la Germania, paese simbolo dell’EU, ha incrementato il consumo di carbone, il peggior combustibile fossile che abbiamo, causa sia il calo di produzione di energia elettrica eolica nel mare del nord, dovuto a scarsità di vento, sia la ripresa produttiva post-covid. Sempre rimanendo sul tema carbone la Cina, che, insieme con altri cinque paesi (India, Russia, Brasile, Indonesia e Iran), contribuisce al 43% delle emissioni di gas serra (dati AIEE 04/2021), nel primo trimestre di quest’anno ha registrato un incremento del 16% della produzione di carbone e inoltre nel 2020 ha installato ulteriori 38 GW di potenza elettrica alimentata a carbone avendo pianificato per un prossimo futuro altri incrementi della stessa fonte energetica.

Ricordiamoci che la Cina e i cinque paesi sopra indicati sono fuori da qualsiasi impegno politico per quanto attiene la lotta ai cambiamenti climatici.
E veniamo ai pesci…
Ogni giorno da Tokyo parte un aereo che, coprendo una distanza di 7.935 km, porta pesce fresco a Dubai per soddisfare il palato esigente di principi e potenti locali. Ora, poiché un Boeing 747 consuma 12 litri di cherosene per ogni chilometro percorso, per coprire la distanza Tokyo – Dubai ci vogliono poco più di 95.000 litri di carburante che, bruciando, emettono circa 240 tonnellate di CO2.

Certamente l’aereo non porterà solo pesci ai nostri emiri ma se fosse anche solo un centesimo il loro contributo in CO2 sarebbe sempre tanto per i 365 giorni di un anno.
E il caffè?
Pochi giorni fa la rete ha divulgato l’immagine di un curioso episodio avvenuto in Australia. Un drone allestito per consegnare a distanza un caffè a un cliente è stato attaccato da una cornacchia che a forza di andargli addosso con le sue zampe ha fatto precipitare il prezioso fardello mandando all’aria la consegna.

Inutile dire quanto consenso o tifo abbia suscitato la cornacchia nel mondo dei social network. Consenso forse derivato anche da un costruttivo rifiuto del superfluo da una parte (quanta?…) di tutti noi. In questo caso i consumi energetici del drone sono ovviamente modesti ma rilevante è l’aspetto etico della vicenda, seppur nella sua piccolezza, che vede l’uomo proiettato a sfruttare qualsiasi strumento tecnologico per soddisfare qualsiasi esigenza anche marginale e a qualsiasi prezzo economico o energetico.
In conclusione che cosa lega il carbone ai pesci e al caffè?

Li lega la forte contraddizione che emerge fra le cure urgenti per il pianeta, sbandierate a più riprese dai rappresentanti politici di mezzo mondo e la cruda realtà del mondo che ci circonda nella quale pare inarrestabile la fame energetica della società dei consumi, molti dei quali derivanti da stili e comportamenti di vita non più sostenibili.
Fermo restando questo modello di società, con i pesci che volano nella notte per migliaia di chilometri e i caffè consegnati a distanza col drone, la soluzione del problema la si vuole concentrare, come recita il nostro PNRR (Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza), nella sostituzione, a parità di energia consumata (!), dei combustibili fossili con le energie rinnovabili.

Queste ultime, però, pur non emettendo inquinanti e gas serra hanno due grossi difetti, uno palese e il secondo non sufficientemente conosciuto dalla gran parte delle persone. Il primo è che il sole ha il vizio di alternarsi alla notte mentre il vento non c’è a sufficienza in tutto il mondo e dove c’è non soffia sempre. Il secondo difetto è che le torri eoliche possono trasformare un bel paesaggio storico naturale in un incubo moderno e inoltre affettano uccelli e pipistrelli in gran quantità quando mal ubicate, mentre il fotovoltaico, se impiegato massicciamente a terra, consuma suolo naturale a tutto spiano.

Il problema energetico globale non si esaurisce con la produzione di energia elettrica ma investe altri comparti quali il riscaldamento e la mobilità, dove si punta all’impiego dell’idrogeno, con l’obiettivo finale di produrlo ancora con le fonti rinnovabili (idrogeno verde).
Riepilogando, il clima ci presenta una cambiale quasi scaduta e la politica del mondo, o meglio una parte di essa, escogita misure drastiche e strapiene di controindicazioni. L’Europa lancia la sfida alla decarbonizzazione totale entro il 2050 e gli USA di Biden, dopo gli anni del negazionismo di Trump, pare la vogliano seguire, mentre l’Asia, quasi tutta, se ne frega altamente.

Tutto questo avviene senza avere in mano una vera soluzione del problema per il medio e lungo termine. Pensare, infatti, di sostituire tutte le energie fossili con sole e vento con le tecnologie attuali è estremamente complicato sul piano tecnico e impattante sul piano ambientale. Inoltre senza un vettore energetico continuo e affidabile la società dei consumi, con la fame di energia nel mondo cosiddetto sviluppato, non va avanti.
E allora? Un primo intervento, si direbbe di buon senso, anche se contestato dai “talebani” delle rinnovabili, consisterebbe nel sostituire il carbone col gas naturale che, seppur fossile, emette metà CO2 del cugino meno nobile e soprattutto non è intermittente.

E poi? Nebbia fitta, magari in attesa che qualche premio nobel ci regali la svolta energetica del secolo.. .
Cingolani, ministro per la transizione ecologica in un paese che pesa per l’1% (!) sul problema climatico mondiale, si muove un po’ come Paolo VI, corroso dai dubbi, dovendo svolgere un compito in classe con un’equazione priva di soluzione per le troppe incognite. Una cosa però l’ha detta chiara: economicamente la transizione ecologica costerà lacrime e sangue.
Intanto la Cina se la gode per il boom commerciale dell’esportazione di milioni e milioni di pannelli fotovoltaici verso il mondo impegnato nell’aggiustare il clima e per le tante materie prime, indispensabili per il green e l’high tech, accaparrate facendo shopping di miniere in Africa; nel frattempo dalle ciminiere del sol levante la CO2 carbonifera esce a tutta birra!

Tutto questo scenario sembra un’operazione di cinico e oscuro marketing geopolitico..
Dulcis in fundo, in tutta questa enorme contraddizione dei tempi moderni la grande finanza è già entrata a gamba tesa in Europa per dar vita alle solite bolle speculative finanziando la costruzione d’impianti rinnovabili di magnitudine mai vista prima. Fa gioco a tutto questo la protesta dei giovani nelle piazze del mondo, anche loro illusi di risolvere tutto con sole e vento.
In un editoriale del quotidiano Domani dell’1 settembre 2021, l’autore, lo scrittore Raffaele Alberto Ventura, pone un quesito di una certa acutezza: “è possibile far vivere otto miliardi di borghesi su un pianeta con risorse limitate?”
La risposta è chiaramente no.

Immagine free modificata

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