DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN
Il danese Carl Heirich Bloch tiene fede alla sua origine nordeuropea ossequiandone le note tendenze di precisione e nitidezza, probabilmente conscio del privilegio di poter esercitare un’attività, come quella pittorica, tanto desiderata quanto inizialmente ostacolata.
La famiglia, infatti, aveva per lui ben altri progetti, principalmente incentrati sulla carriera militare, e solo una volontà caparbia e tenace permette al giovane di inseguire e realizzare i propri intenti.
Bloch visita l’Olanda e l’Italia, e sarà il nostro Paese, in particolare, ad incidere in modo decisivo sia sul suo modus operandi che sulla sua produzione artistica, trovandosi egli ad operare una sorta di commistione mentale e materiale tra la pittura di genere fiamminga, della quale è fervente ammiratore e superbo esecutore – gran parte della sua fama, inizialmente, si ricondurrà a dipinti di questo tipo o immagini religiose – e la sottile psicologia, spesso ironica, della mentalità italiana, in grado di connotare scene apparentemente ordinarie secondo uno spirito unico e originale.
In un’osteria romana, che Bloch realizza nel 1866, è emblematico in tal senso, riprendendo una consueta scena di presunta, caratteristica gelosia autoctona, provocata dall’ammiccamento seduttivo femminile, indice di palese civetteria.
Tema peraltro già conosciuto ad ogni latitudine, visti soggetti molto simili anche ad opera di un altro danese, Wilhelm Marstrand, con cui Bloch studia presso la Reale Accademia d’arte di Danimarca: lo stesso Marstrand, qualche anno prima, realizzando un quadro che ispirerà palesemente la scena dell’osteria romana, si sofferma su di un’allusiva avventrice intenta ad idealmente accogliere l’ospite entrante, e pur se quest’ultimo non risulta visibile, è sufficiente prendere coscienza dell’intero contesto, cui si associa il pudico abbassare dello sguardo da parte dell’accompagnatrice anziana delle ragazze, probabilmente la madre, per capire al volo ciò che si cerca, non troppo invero, di sottintendere.
Non che il pittore danese si limiti esclusivamente a sottili introspezioni psicologiche, o ironiche presentazioni popolari, al contrario, con facilità stilisticamente indirizzato in tal senso dalle pressioni familiari dirette inizialmente a suggerirgli una vita militarmente marinaresca, ama cogliere suggestive immagini di lavoratori impegnati in attività portuali e di pesca, come accade con il pescatore di Sorrento – siamo intorno al 1860 – intento a rammendare la rete, o come nel caso di Due uomini all’ombra presso Holbæck, che Bloch realizza nel 1880, quindi in un momento piuttosto avanzato della sua carriera artistica, non esita a confermare la quieta disinvoltura di un autore, apparentemente impegnato nel captare un’innocua scena di genere, in realtà profondamente coinvolto da un’atmosfera che riesce a sentire propria.
Holbæck, villaggio danese a circa una cinquantina di chilometri da Copenaghen, ricalca tutt’oggi l’immagine dell’originario borgo di pescatori, pur discretamente ingrandito, addirittura grado di mantenere uno storico rione come una sorta di museo a cielo aperto.
Approfittando di una serie di edifici appartenuti ad uno storico personaggio del luogo, il pastore del paese Søren May, conosciuto, sul finire del Seicento, anche per la sua attività di pellegrino, il paese letteralmente regala una suggestiva immagine d’altri tempi, in grado di catapultare i turisti in una realtà diversa e caratteristica.
Simile a quanto succede in Italia in posti tipici alla stregua di Alberobello, in cui all’interno dei trulli sono sovente allestite tradizionali botteghe e attività…
Carl Heinrich Bloch (1834-1890), Due uomini all’ombra, Holbæck, 1880, olio su tela, 35×27 cm., Collezione privata
Immagine: web
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