Carlo Verdone parla di Gigi Proietti, l’intervista

DI GIOVANNI BOGANI

 

“Dovevamo vederci appena possibile. Mi aveva detto: ‘Carlo, vorrei farti tornare a teatro, ho in mente una cosa per te: perché non ci prendiamo un caffè insieme e ne parliamo? Non abbiamo fatto in tempo a prendere quel caffè”.

Carlo Verdone è profondamente addolorato per la morte di un collega di immenso talento, garbo, stile. Un simbolo di quella romanità di cui proprio Carlo Verdone è, per molti, l’icona.

Su Instagram, Verdone ha postato una foto scattata a casa sua: un selfie alla buona che li ritrae insieme, l’antivigilia di Natale del 2018. E scrive: “Autorevolezza, cultura, generosità, umiltà. Questo era Gigi Proietti”. E con la stessa generosità e umiltà Verdone risponde al telefono in una giornata in cui tutti – telegiornali, radio, siti web – lo chiamano, mentre lui sta finendo di scrivere la serie televisiva “Vita da Carlo”, dieci puntate di mezz’ora che saranno girate, la prossima primavera, per Amazon.

Carlo, c’erano occasioni in cui vi vedevate, in cui vi incontravate con Proietti?
“Sì: cene a casa di amici. Gigi non amava mettersi in mostra, durante la cena era riservato, Ma alla fine c’era sempre quello che chiedeva ‘rifammi il pezzo della telefonata, ti prego!’…”.

Una gag che anche lei, Verdone, ama molto.
“Un capolavoro di tempi comici. Una telefonata che si interrompe di continuo, in cui Gigi fa immaginare l’altro, di là dal telefono, che spezza sempre il ritmo della conversazione. Ecco: l’arte dei tempi comici si riassume tutta in quella telefonata. Bisognerebbe studiarla nelle scuole di teatro”.

Il teatro, al quale Proietti avrebbe voluto riportarla.
“Mi disse: ‘Ma perché non fai teatro?’. Io gli risposi che non ho più una mentalità teatrale. E lui: ‘Sbagli! Io ho un’idea interessante per te…’. Non saprò mai quale fosse”.

Entrambi, in modo diverso, avete incarnato lo spirito di Roma. In che cosa consiste, secondo lei, questo spirito?
“La romanità è una filosofia. Mette insieme molti elementi: il buon senso, un po’ di cinismo, l’arte di badare a se stesso e di fregarsene un po’, ma anche la contraddizione di essere generosi, il sapere aiutare il prossimo. Il Dna romano è fatto di saggezza, inedia, pigrizia, ma anche grande senso dell’amicizia. Gigi Proietti incarnava tutto questo. Ed era, come me, un grande tifoso della Roma: per non perdersi le partite, si faceva spostare o anticipare prove e spettacoli. Una mania che, in qualche modo, ho anch’io”.

Quali sono, per lei, i grandi volti di questa “romanità” moderna?
“Aldo Fabrizi, certamente; Elena Fabrizi, la sora Lella, con la sua immediatezza, la sua umanità; Alberto Sordi, ovviamente. E Gigi Proietti. Che era rimasto una persona umile, gentile. Lo raggiungevi facilmente: a volte, invece, attori di neanche trent’anni se la tirano come fossero il sultano del Brunei!”.

Siete mai andati vicini a recitare insieme?
“Purtroppo no. A pensarci bene, mi sarebbe piaciuto fargli interpretare la parte di Manuel Fantoni in ‘Borotalco’, interpretata del resto benissimo da Angelo Infanti. Ma certo, Gigi sarebbe stato perfetto in quel personaggio di piacione, millantatore, bugiardo ma simpatico. A raccontare del cargo battente bandiera liberiana…”.

C’è un’eredità artistica di Proietti?
“Tanti attori gli devono moltissimo: da Brignano a Giorgio Tirabassi, da Flavio Insinna a Francesca Reggiani, molti sono cresciuti con lui e con il suo laboratorio teatrale. E lui, con la sua meravigliosa ironia, diceva: ho insegnato loro tutti i miei difetti”.

Cinema, teatro, televisione: il maresciallo Rocca è stato il primo di una serie di investigatori della tv italiana. Dove è che Proietti era più grande?
“Il maresciallo Rocca l’ho visto e apprezzato, ho visto i suoi film. Ma per me, Proietti era immenso soprattutto a teatro. ‘A me gli occhi, please!’ l’avrò visto almeno quattro volte; e non dimentichiamo il suo lavoro ‘colto’ come direttore del Globe Theatre, il teatro shakespeariano a Roma”.

In queste ore, Roma lo ricorda con le sue foto proiettate sul Colosseo e al Campidoglio.
“Trovo giustissimo questo omaggio. E per quello che Gigi ha dato al teatro, penso che sarebbe giusto intitolargli il teatro Brancaccio a Roma, farlo diventare il teatro Gigi Proietti”.

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