Chi educa gli educatori?

di Daniela Marras

La famiglia è un caldo nido accogliente o più spesso un covo di vipere? Uomini e donne sono davvero consapevoli della responsabilità che comporta l’avere un figlio? E perché per adottare un bambino gli aspiranti genitori vengono sottoposti all’esame di più esperti, mentre i futuri genitori di un figlio da loro concepito non solo non vengono sottoposti ad esame alcuno ma anzi sono lasciati dallo Stato e dalle Istituzioni in balia della loro inesperienza?” mi chiedevo in tono un po’ ironico, un po’ provocatorio, un po’ serio in un racconto di un secolo fa… Ebbene, con lo stesso tono, un po’ ironico, un po’ provocatorio, un po’ serio, me lo chiedo ancora!

Ho avuto di recente la piacevole esperienza di partecipare a una serie di incontri con Lorenzo Braina, “scrittore, pedagogista e esperto in mediazione sociale” trovo su Internet. Avevo sentito parlare di lui dalle mie sorelle insegnanti e mi son lasciata trascinare. Gli incontri erano stati organizzati specificamente per genitori, insegnanti, educatori ma io che non sono né genitore, né insegnante né educatore, in definitiva un’“imbucata”, mi son sentita ugualmente coinvolta e non son rimasta delusa.

Anzi, per il tono colloquiale, aneddotico, ironico e autoironico, che suscita il riso facile e spensierato, di Braina, ho trascorso ore piacevoli e mi sono perfino divertita. Ci si può “divertire” a una conferenza? Evidentemente sì, se ci si trova davanti un oratore come Braina. Ma Braina non diverte solamente, Braina soprattutto, a mio avviso, solleva dubbi, suscita interrogativi, spinge a pensare e a ri-pensare.

Genitori, insegnanti ed educatori sono chiamati ad educare appunto. “Educare”, etimologicamente da “ex-ducere”, “condurre fuori” quindi liberare, far venire alla luce le potenzialità nascoste. Questa definizione di “educazione” mi era stata data da una persona a me molto vicina e cara durante un’intervista-inchiesta scolastica quando ero studentessa alla scuola media e il mio professore di lettere aveva commentato dicendo che chi mi aveva dato questa spiegazione aveva risposto correttamente.

Già, spesso usiamo le parole abusandone, dimenticandone l’etimologia e perfino il significato “proprio”.

Allora, prima di prendere in mano un manuale o un saggio di pedagogia (da “paedagogus”, “colui che conduce i fanciulli”), prendiamo in mano un dizionario. Io utilizzo da sempre lo Zingarelli e, in un’edizione un po’ datata a dire il vero (quella 2013 non la ho sottomano mentre scrivo), leggo per la voce “educare”: “Guidare e formare qc., spec. giovani, affinandone e sviluppandone le facoltà intellettuali e le qualità morali in base a determinati principi”.

A questo quindi sono chiamati genitori, insegnanti ed educatori: i genitori magari da “dilettanti allo sbaraglio”, soprattutto per i primogeniti; gli insegnanti magari confondendo educazione con istruzione e gli educatori magari infarciti di tante belle nozioni apprese dai manuali di pedagogia.

A questo è chiamata in effetti tutta la società, come ha detto anche Braina, facendomi sentire meno “imbucata”…. E’ la società infatti il substrato materiale in cui operiamo e in cui emergono i “principi”, i “valori” che stanno alla base del processo educativo. Sì, “processo” perché l’educazione nasce da un rapporto tra educatore, in senso ampio, e educando; non è un concetto statico, ma dinamico: è un concetto di relazione.

Ed ecco che appare allora illuminante la “maieutica” di Socrate, l’educatore come “levatrice” che “fa partorire” mediante il dialogo.

Ma chi educa gli educatori?

Chi distingue tra livelli del linguaggio potrebbe impantanarsi in una serie di rinvii senza fine: “chi educa gli educatori?” e “chi educa gli educatori degli educatori?” e così via, senza trovare un punto fermo.

Da tanto ci si interroga sull’educazione e sull’educazione degli educatori. Pensatori e filosofi si sono dedicati al tema in oggetto da secoli, pervenendo a risultati spesso difformi e anche inconciliabili, opposti. Ma, qualunque sia la soluzione che si voglia trovare – se soluzione esiste e se la si vuole trovare -, ciò che, a mio avviso, è da temere, specie nei nostri tempi e nella nostra società, è l’omologazione appiattente, l’indottrinamento che ottunde le menti, la ricetta preconfezionata che sorvola sulla libertà e sulla responsabilità individuali, il “lo faccio per il tuo bene perché so io cos’è il tuo bene”, la più o meno evidente manipolazione del consenso.

Ecco quindi che chi educa, a qualsiasi livello lo faccia, dovrebbe instaurare un rapporto, una relazione che faccia svelare il nascosto e scoprire il mistero di ogni individuo, suscitando dubbi e invitando alla critica, alla verifica costante, al confronto tra esseri ugualmente liberi che arrivino a compiere le proprie scelte in piena autonomia.

Ed ecco allora, per concludere questi che sono solo brevi spunti di riflessione, alcuni versi tratti dalla poesia di Horst Bienek “Istruzioni per i lettori di giornali” che il professore di lettere delle Medie (lo stesso sopra citato) aveva fatto conoscere a me e ai miei compagni:
Non prelevate niente senza averlo verificato
né le parole né le cose
né il conto e neppure la bicicletta
né il latte e neppure l’aragosta
né l’uva e neppure la neve
afferratelo, assaggiatelo, rigiratelo da tutte le parti
mettetevelo tra i denti come una moneta
resiste? ne siete contenti?

Il fuoco è ancora fuoco e il fogliame ancora fogliame
l’aereo è aereo e la rivolta rivolta
una rosa è ancora una rosa?
Già! Una rosa è ancora una rosa?
Sardara, 23 febbraio 2014 

                     

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