Chris Offutt, Il fratello buono. Minimum fax

DI MARIO MESSINA

Gli Stati Uniti possono essere considerati, fondamentalmente, un grande racconto ideologico.
Non nel senso più banale che a questo concetto si possa attribuire e cioè, di un paese portatore di una sua idea di sviluppo e di società.

Ma, piuttosto, come la forma più clamorosa di realtà mistificata.
La forma più alta ed efficace di pubblicità ingannevole che sia mai stata concepita.

Come avrebbe suggerito Qualcuno, infatti, si è proceduto ad universalizzare ciò che in realtà è patrimonio di pochi.
Purtroppo, però, detentori del potere e delle leve economiche.

Le armi messe in campo da questi narratori ideologici (la tv ed il cinema in primis) hanno surclassato così un pensiero critico condannato alla marginalità.
Alla riserva indiana, tanto per rimanere in tema.

La letteratura, collateralmente, ha così cercato nel tempo di costituire una breccia raccontando la realtà nella sua essenza più cruda.
La letteratura “neo schiavista” (Toni Morrison o Colson Whitehead, tanto per citare qualche nome) ha avuto il merito, per esempio, di svelare la grande ipocrisia americana.

Per cui questa supposta grandezza poggerebbe in realtà le sue fondamenta nello schiavismo e nel genocidio.
Il realismo di Offutt, pur non inserendosi in questo filone, ha comunque il grande merito di raccontare l’America profonda. Quella maggioritaria. Col suo spirito profondamente aggressivo e ignorante.

L’ americano-massa che assalta Capitol Hill. La polvere sotto al tappeto mainstream.
Virgil vive nel Kentucky, in una conca circondata da colline e solcata da un’unica strada. Dove la maggior parte dei suoi abitanti riceve il sussidio statale firmando con una X e senza aver mai travalicato per una intera vita quei confini naturali.

Ma soprattutto dove le questioni si risolvono con le armi. In una spirale che non sembra offrire vie di uscita.
Virgil si trova, così, costretto ad uccidere l’ assassino del fratello, a sua volta ucciso per uno sgarro imprecisato. Egli è ben consapevole che questo determinerà il suo essere prossimo bersaglio.

Matura così il piano di cambiare identità, trasformarsi in Joe Tiller e di rifugiarsi tra i boschi e le nevi del Montana. Un luogo in cui, a volte, coesistono più epoche nello stesso momento ed in cui la modernità fa saltuariamente capolino.

Si tratta, infatti, di un mondo in cui lo stato di natura è dominante. Dove l’ uomo stesso si considera sullo stesso piano delle bestie. Un essere che “va in letargo” durante i mesi freddi (dedicandosi alla pulizia delle armi, ovviamente). O che esclama con naturalezza: “se un lupo sbrana un vitello, resta libero. Se un uomo spara al lupo, va in prigione.”.

È in questa ottica che va letto il libro. Conoscere ciò che raramente viene mostrato. Con la consapevolezza che di questo stato di minorità gli americani vanno fieri.

Per cui in fondo, in nome di quelle stelle e di quelle strisce, il sofista liberal newyorkese ha la stessa responsabilità morale di un bifolco del Montana. Le parole di uno coprono le pallottole dell’ altro.

Immagine tratta dal web

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