Claustrofobia, subdola “compagna” da una vita

DI ROBERTO BUSEMBAI

 

Ho avuto sempre un grande timore, paura, incubo,  tale da non riuscire a risolvere o se non altro parzialmente evincere in modo tale d’affrontare l’ostacolo con minor male possibile.

Insomma sto parlando di quella subdola “malattia” che si chiama claustrofobia. Un nome ostrogoto, quasi difficile da pronunciare ma che al contempo denota già pronunciandola la difficoltà interiore e psicologica che chi la possiede si assume e non accetta volentieri.

I luoghi chiusi, i luoghi dove pare non esserci via di scampo, tra quattro strette pareti, in un angusto spazio, in un antro, in una buca, in un semplice ascensore, in una comune metropolitana, in un moderno aeroplano, nel percorrere una lunga galleria, qualsiasi sia il mezzo di trasporto.

Persino sentirsi “obbligati” su un’isola, come mi capitò un anno quando per la prima volta andai a visitare l’isola d’Elba, allora ero giovanissimo, con il sacco a pelo e la tenda sulle spalle, e il secondo giorno si manifestò uno di quei temporali e folate di vento che soltanto un’isola può conoscere.

Quando il mare intorno è una enorme pentola piena d’acqua che bolle in continuazione, quando ti dicono che il continente non è raggiungibile e impossibile partire, ecco che scattò, a cielo aperto, quel vasto senso di chiusura, di stretta alla gola, di mancanza di fiato, di assoluta perdita di ragionamento e venni posseduto dalla paura pura, ecco che anche allora provai claustrofobia e fu difficile sedarmi subito se non con apporto medicinale, un calmante.

Questa fobia è sempre stata la mia brutta compagna di vita, e sinceramente è una compagnia che non ho mai gradito e della quale mi sono spesso vergognato, ma capisco anche che io stesso non ho forze assolute per poterla eliminare.

Con il trascorrere del tempo ho saputo combatterla parzialmente, sopporto molto meglio l’attraversamento dei tunnel, anche se l’ultimo viaggio a Parigi ho avuto la brillante idea di andarci in auto attraversando il traforo del Monte Bianco…..e non vi dico che pene ho sofferto, tanto da far guidare chi mi era accanto….ma al contempo se lo avessi programmato da giovane non mi sarei nemmeno affacciato all’ingresso.

L’aereo è un altro grosso problema, la metropolitana cerco di evitarla, l’ascensore non è un mio amico, e così via…ho sempre amato gli spazi aperti, la vastità del cielo, non per niente ho praticato alpinismo, il mio massimo apprezzamento di vita interiore e esteriore l’ho provato sul culmine di alte vette, sulle sommità più esposte di un monte.

Ma con la claustrofobia ci devi combattere anche quando devi per forza e per salute trovarti di fronte a problematiche non indifferenti, come mi è capitato ieri pomeriggio.

Per motivi di salute dovevo effettuare una RM (risonanza magnetica) particolare, tanto da farla in una città a 60 Km dalla mia, perchè solo in quel preciso ospedale esisteva quel particolare macchinario.

Avevo fatto altre volte, simili esami, e sinceramente non avevo avuto particolari difficoltà con il problema particolare della mia fobia, per cui sono andato tranquillo a fare questo esame.

Era un esame in cui dovevano anche iniettarmi un contrasto, per cui prima ho avuto un incontro di dialogo con il medico e il radiologo, mi hanno rassicurato su quasi tutto, non abbiamo sinceramente parlato di claustrofobia ma mi hanno soltanto chiesto se avevo fatto in precedenza altre RM e io sinceramente ho risposto di sì, ma con molta tranquillità e serenità.

Mi hanno fatto distendere su un lettino per iniettarmi il contrasto e poi attendere circa un quarto d’ora perchè questo entrasse in circolo nel corpo.

Poi mi hanno accompagnato al macchinario e sinceramente io non ho nemmeno guardato “l’oggetto” in questione, mi sono occupato di fare attenzione a distendermi sul lettino.

Con cura e gentilezza mi hanno legato, hanno posato su di me una pesante lastra di ferro, mi hanno messo le cuffie dove avrei sentito gli ordini del radiologo, mi hanno dato in mano un pulsante che avrei dovuto usare in caso di soccorso, e con la mascherina sul viso, quella anticovid, mi sono sentito trasportare dentro il cunicolo, il tunnel.

Fin li niente di preoccupante, ma l’inconscio era in agguato, un semplice movimento dell’occhio rivolto in alto cercando di capire se dietro di me c’era un’uscita e non trovandola ma percependo che ero come in un fondo di bottiglia, in fondo al tunnel senza uscita, è scattata quella forza interiore di panico puro.

Il cuore ha iniziato a battere incessantemente, il respiro è diventato affannoso, il brivido e il sudore insieme, impossibilità di contenere la mente e il fisico, che quel pulsante di soccorso ha iniziato a suonare incessantemente…

Panico puro, paura incontrollabile, tanto che i medici stessi hanno, gentilmente, fatto di tutto per potermi calmare, ero in preda a un qualcosa che non potevo controllare da solo.

Dopo mi sono sentito davvero abbattuto e complessato, anche se il personale medico mi ha rassicurato dicendomi che non ero ne il primo e ne l’unico a cui accadevano queste cose, purtroppo l’esame è particolarmente difficoltoso per chi come me soffre di quella maledetta claustrofobia.

E’ amareggiante e ci si sente particolarmente depressi nel dover venire via in questo modo, con tutti i sensi di colpa, sia per l’impegno che il mio medico aveva riposto per avere l’esame il prima possibile, sia per la disponibilità dei medici e infermieri che eseguivano, sia per me stesso che mi sono riscoperto ancora di più con un problema che credevo, anche se in parte, sedato.

Non ha importanza di come dovrò affrontare il problema della salute, quello che invece è importante è come dovrò affrontare ancora una volta questo mio impatto con questa “amica” che mi sta appiccicata come una piattola e non mi lascia via di scampo.

Ho avuto paura di me stesso, non avevo mai avuto una reazione così violenta e al tempo stesso incontrollabile e fuori dalle mie capacità intellettive. Claustrofobia che bestia subdola e ignorante!

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