Come e perché è possibile appropriarsi della scultura invisibile di Salvatore Garau

DI CRISTINA BELLONI

 

Chi ha rubato la scultura invisibile?
Qualche mese fa, in piazza della Scala a Milano è stato predisposto uno spazio quadrato, delimitato; un “vuoto” che però poteva racchiudere qualcosa: poteva accogliere una scultura invisibile, immateriale dal titolo: ”Buddha in contemplazione” dell’artista Salvatore Garau.

Uno “spazio poetico fatto di aria e di spirito” contenuto in un immaginario volume, frutto dell’idea dell’artista. Anche New York ospita “Afrodite piange”, ugualmente esposta, un’altra delle sette sculture immateriali che dovrebbero comparire in altrettante grandi città.
Lo scorso maggio la casa d’aste Art-Rite ha battuta per 12000,00 euro (15000,00 con i diritti d’asta) un’altra scultura invisibile di Garau: “Io sono”.

La “scultura”, per volere dell’artista, dovrà essere collocata in uno spazio libero di 150×150 centimetri, questa volta all’interno di una abitazione privata.
Certo è l’artista in quanto “pensiero laterale” del genere umano, pungolo consapevole del divenire, a poter far riflettere sulle forme, a provocare una reazione, a fomentare domande a prescindere dal concetto estetico, da tempo scisso dall’espressione artistica.
Lo ha sancito Marcel Duchamp con i suoi “aria di Parigi” e i “ready made”, in tempi non sospetti, già più di cento anni fa, facendo scacco matto all’Arte; o in pittura i Suprematisti con “croce bianca su bianco” di Malevich del 1927 e le provocazioni di Piero Manzoni con i palloncini riempiti dal “Fiato d’artista” ed i barattoli di “Merda d’artista”.

Lo ha ribadito lo spirito giocoso degli artisti Fluxus nel loro proclamare “tutto è arte”, per porre l’accento sulla unicità del singolo momento temporale, negli anni sessanta del secolo scorso.
La rappresentazione contemporanea è inesorabile: tutto è stato pensato, detto, visto, interpretato. Fatto.

E quando è il nulla ad essere “compreso” – compresso? – in una volumetria che, nelle intenzioni, riverberi interazioni quantistico/poetiche; che si proclami “scultura” un consapevole vuoto anche se “pieno di energia, concentrato di pensieri”, attribuendogli il valore del concetto artistico, ciò diventa una provocazione che in qualche modo ha un sapore estremo, paradossalmente, barocco.
L’ispirazione quantistica di trovare nelle energie del vuoto che scientificamente creano effimere particelle di materia e quindi di attribuire ad uno “spazio” le proprietà di una diversa rappresentazione dell’idea stessa dell’artista , a mio avviso rimarca quel sentore di decadenza e di perdita di identità del ruolo della figura stessa dell’artista, non solo come creatore, ma soprattutto come voce filosofica appartenente ad una società già sovraccarica di comunicazione, satura dell’esperienza di sé stessa.

L’estrema sintesi di Garau si rivela folgorante epiteto dell’animale uomo in questo universo che si scopre sempre più estraneo ai nostri sensi, ma anche inquietante sentore di assoluta mancanza di una prospettiva futura (materiale, filosofica?). Il nulla come valore monetario; un perfetto esempio del Nichilismo imperante:“ Nessuna realtà sostanziale sottesa ai fenomeni di cui pure si è coscienti.

Però se l’idea in sé sottolinea uno status forse necessario del cammino nell’evoluzione umana il parossismo del “mercato”, attribuendole un valore commerciale, non la ha certo nobilitata ma in qualche modo banalizzata, riducendola a atto di consumo o a boutade da social media.
Ma ciò che può essere comprato può essere anche rubato, è insito nella transazione stessa.

Quindi asserisco che ognuno lo possa fare anche e soprattutto virtualmente, viste le supposte proprietà quantistiche dell’operazione.
La si può rubare, chiunque è in grado di farlo, semplicemente avocandola a sé, intatta, così come è stata concepita o con tutte le modifiche che miliardi di particelle, invisibili e intangibili, che attraversano ogni secondo la nostra realtà, hanno avuto la facoltà di modificare.
Il re è nudo!

©® Copyright foto di Cristina Belloni

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