Compie novant’anni Monica Vitti, la storia del cinema italiano

DI GIOVANNI BOGANI

«Nessuno lo ha detto tanto chiaramente: ma Monica era anche bellissima. Per me era più bella di tutte le bellezze da ‘buco della serratura’ che il cinema italiano proponeva in quegli anni».

È vero, della sua bellezza non si è mai parlato troppo. Che cosa amava di più di Monica Vitti?

«Gli occhi magnifici, la voce rauca, lo sguardo mai banale, la sua risata. Le sue gambe. Monica era bellissima». Diego Abatantuono al telefono, con una voce in fondo alla quale si percepisce ancora il ragazzo che era, aggiunge: «Naturalmente, è vero anche tutto il resto: Monica Vitti è stata la prima attrice italiana ad affrontare, con classe immensa, il tipo di cinema che più mi piace, il più difficile: la commedia brillante con un taglio amaro. Sapere far ridere e far piangere, nello stesso film, è un’ arte difficilissima: e lei quell’ arte la conosceva. Come lei, forse, solo Mariangela Melato. Due icone immense del cinema italiano».

Compie novant’ anni mercoledì Monica Vitti, novant’ anni di celebrazioni, di omaggi. È andato in onda su Canale 5 lo speciale Monica e basta di Anna Praderio; venerdì, su Raitre alle 21.20, sarà trasmesso il vibrante, appassionato ritratto di Fabrizio Corallo e Davide Azzolini Vitti d’ arte, Vitti d’ amore che raccoglie le testimonianze di colleghi e amici, da Carlo Verdone a Enrico Vanzina, da Michele Placido a Giancarlo Giannini, Barbara Alberti, Christian De Sica. Mercoledì si inaugura al Museo del cinema di Torino la mostra fotografica Noi Vitti siamo fatte così, con scatti di Angelo Frontoni.

Presente, intensamente, nel nostro immaginario, Monica è assente da vent’ anni dalle scene, dal set, dalla vita pubblica. Un bozzolo protettivo di silenzio che il marito, il regista Roberto Russo, ha creato attorno a lei e alla sua malattia, alla sua fragilità. Monica rimane in casa, regina silente.

È stata icona di modernità nel cinema geometrico, inquietante, misterioso di Michelangelo Antonioni, e genio della commedia, l’ unica donna bella capace di ridersi addosso, con Mario Monicelli, Scola, Risi, Salce, Steno. L’ unica, anche, a tener testa ai mostri sacri Sordi, Tognazzi, Gassman e Manfredi. Innumerevoli i premi vinti, il più grande l’ affetto del pubblico. C’ è persino una poesia di Anne Carson, Kant’ s Question About Monica Vitti, che la celebra.

Abatantuono, lei con Monica Vitti ha girato uno dei suoi primi film, Tango della gelosia di Steno «Io praticamente le devo tutto.

Quello fu il mio primo ruolo da protagonista: e lo devo, assolutamente, a lei. Monica venne a vedermi in un teatro di piazza Navona. Avevo deciso di giocarmi il tutto per tutto, e per farmi conoscere avevo affittato un teatrino di Roma, con tutto il coraggio, l’ incoscienza – e tutti i soldi – che avevo. Se non si fosse fermata lei a vedere lo spettacolo, chissà dove sarei».

Monica la scelse come coprotagonista del film.

«Io ero uno sconosciuto, ma Monica riuscì a impormi ai produttori. Forse aveva visto qualcosa di buono in quel ragazzo che ero, e nel personaggio del ‘terrunciello’».

Che posto occupa la Vitti nella storia del cinema italiano?

«È stata l’ attrice più importante della sua generazione, la generazione più ricca, più creativa, più fertile del cinema italiano.

Se si fosse fermata ai film di Antonioni, non sarebbe diventata la star che è diventata. E dunque ha avuto coraggio, e intelligenza. Ha attraversato la strada della commedia con professionalità immensa, e con un talento unico».

Dopo Il tango della gelosia giraste insieme Scusa se è poco, con Ugo Tognazzi…

«Era un film a episodi, con un titolo che Vabbè, un giorno vorrei conoscere qualcuno di quelli che pensano i titoli dei film.

Poi sono passati gli anni. Ho abitato per un periodo a Roma nella stessa via dove abitava lei. Ma non l’ ho mai incrociata».

Erano già gli anni in cui Monica era diventata invisibile. Nel documentario di Fabrizio Corallo, Michele Placido racconta: «Mi è parso di averla incrociata, una mattina prestissimo a Villa Borghese. Mi avevano detto che verso le cinque di mattina camminavano, lei e il suo compagno. Un giorno, all’ alba, mi è parso di averla vista». Monica, quasi un effetto di fata Morgana, immagine incerta all’ orizzonte di un’ alba romana.

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