Lo scultore rumeno Constantin Brancusi opera prevalentemente a Parigi, città in cui giunge arrivando a piedi dalla sua terra natia – una notevole impresa, che non manca di suscitare rispettosa ammirazione – più o meno nello stesso periodo in cui nasce e si sviluppa il Cubismo.
Tra i più convinti sostenitori della ricostruzione neoplastica dei corpi, Brancusi passa attraverso differenti esperienze, per poi ricercare quella essenzialità volumetrica che diventerà una inconfondibile caratteristica delle sue creazioni.
Occorre trovare la forma nella sua assolutezza, perseguendo un ideale di purezza e linearità ottenibile solo mediante un materiale modellato secondo specifici aspetti, e consistente in un elemento regolare e naturalmente levigato, o tutt’al più risultante tale a seguito di opportune e scrupolose lavorazioni.
Un rigore stilistico ai limiti dell’introspezione, tanto da far riflettere, al cospetto delle sue creazioni, riguardo la possibilità di trovarsi di fronte a qualcosa di libero, mai forzato.
L’intervento dell’artista appare di secondo piano, sottostante ad una imprescindibile autonomia in grado di liberare la forma interna già preesistente.
Una concezione simile a quella dei Prigioni michelangioleschi, colti nell’atto di liberarsi dall’involucro esterno, per i quali l’autore si limita a consentire alle suddette figure di riprendere il proprio posto nella dimensione spaziale, ispirata alla creatività della natura, perfetta e finita, solo da assecondare.
Una natura, nella confacente definizione di Renato Barilli, padrona di sé e dei suoi ritmi; che non gioca a dadi – Einstein sosteneva fosse Dio, a non giocare a dadi con l’universo, e pare che Niels Bohr, in un’occasione, gli abbia prontamente ribattuto di smetterla di dire a Dio cosa fare – ma controlla i suoi stessi processi con infinita sapienza.
L’arte brancusiana appare saldamente geniale, baluardo di inossidabile libertà destinato a dominare la creatività secondo modelli ideali.
Altri scultori, in seguito, si ispireranno allo stile dell’artista, tra i quali Arnaldo e Giò Pomodoro, ma anche lo stesso Amedeo Modigliani.
Uccello nello spazio, rende perfettamente l’idea della ricerca di perfezione dell’autore, il quale astrae dalla raffigurazione naturalistica per lanciarsi luminosamente nello spazio – allo stesso modo Il bacio, di parecchi anni precedente, realizzato intorno al 1907, si esprime in un concetto di potenza essenziale, in cui le due figure appaiono a malapena distinte nell’avvolgente sentenza di un contatto senza soluzione di continuità – ma è nella Colonna senza fine, collocata presso Târgu Jiu, in Romania, poi omaggiata in Moldavia, nel 1998, tramite l’emissione di un francobollo celebrativo, che Brancusi svolta e mostra palesemente il percorso che lo porterà alla sublimazione di un concetto catapultato verso l’infinito.
Ispirandosi ai pilastri funebri generalmente presenti nella Romania meridionale, l’artista rielabora un concetto di infinito legato a ciò che lui stesso definisce un canto eterno, oltre il dolore ed ogni altra gioia effimera, ritmando lo spazio della memoria attraverso una serie di forme romboidali sovrapposte in grado di confondere lo sguardo enucleandone il significato.
Dedicato ai caduti del primo conflitto mondiale, il monumento, lungi dal ritrovarsi relegato entro una soffocante, funerea atmosfera, svetta nell’attendistica speranza di un desiderio da conquistare: non solo ad memoriam, ma ad veram memoriam, fiduciosamente espressa da un’illusoria spirale tale solo se e in quanto materialmente intesa.
Un movimento sensoriale, potenzialmente convogliato dalle intenzioni dell’osservatore, al cui cospetto la scultura vive e si rigenera di continua forza propulsiva.
Grandioso, libero e forte, senza alcun bisogno di orpelli o decorazioni superflue, l’artista si getta in una dimensione lineare di ferma spazialità, proponendo immagini differenti e al contempo familiari, tali da non poter essere poste in discussione, al contrario caratterizzate da una sorta di formalità convenevole assimilata nella propria ponderale delicatezza.
Del resto sarà lo stesso Brancusi a spiegare la propria aspirazione di andare oltre lo stadio materiale, realizzando un progetto che, se ingrandito, riempirebbe il cielo.
Non di poco conto, inoltre, anche a livello di notorietà, la causa intentata contro il servizio doganale degli Stati Uniti, che aveva preteso di tassare una delle sculture in bronzo, trattandola alla stregua di materiale grezzo, quest’ultimo effettivamente soggetto a tassazione…
Constantin Brancusi (1876-1956), Colonna senza fine, 1938, 29.33 m., Parco Colonna dell’Infinito – Târgu Jiu, Romania
Immagine: web, Cosmin Nasui per Modernism
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