Covid: il virus che non uccide la solidarietà

DI ANNA LISA MINUTILLO

 

 

Giorni densi, tra mille pensieri, domande senza risposte, e tanti discorsi, troppi discorsi, che si resta come paralizzati davanti a qualcosa che non vediamo, che sta radendo al suolo tutto ciò che incontra.

Vite spezzate, sguardi attoniti, umore variabile come l’indicr rt che ormai riempie gli spazi sospesi tra ciò che ci pare aver capito e ciò che resta sconosciuto.

La maggior parte di noi, non avrebbe mai ritenuto possibile trascorrere giorni nascosti dietro ad una mascherina, preservandosi e preservando la salute altrui.

Un vortice di sensazioni contrastanti che ci rende piatti ed appiattiti, che non ci fa più essere ottimisti, che cattura attraverso invisibili meccanismi, crolli emotivi, notti insonni, alterazioni della personalità che iniziano a palesarsi in modo prepotente ed aggressivo.

Assistiamo a discutibili spettacoli offerti dal mondo politico, qualcuno cerca disperatamente di cavalcare l’onda, lanciando sfide, pensando alla carriera, cullandosi nella possibilità di ricavare profitto dalla disperazione.

Alla fine, ognuno è ciò che è, questo indipendentemente dal propagarsi del virus, a cui, situazioni come questa, sta dando una corposa mano, nell’evidenziare la differenza tra bieco opportunismo e quel poco che resta dell’umanità.

Privati di scambi sociali, intrappolati in abitazioni spesso troppo piccole per poter convivere serenamente.
Trascorriamo molto tempo con noi stessi e questo proprio non ci va giù.

I motivi sono differenti, alcuni di fare i conti con la fragilità non hanno proprio voglia.

Altri si sentono nudi nel dover mostrare i loro bisogni.
Altri ancora, semplicemente, non riescono a farsene una ragione e dimenticano quanto invece, soprattutto in una situazione di bisogno emergenziale, come questa, avrebbero invece da dare o potrebbero fare.

Dovremmo aver compreso tutti che la vita è una sola, che si potrebbe ripartire proprio da qui, che forse, come vivevamo, assorbiti da mille impegni e ruoli, ricoperti più per mostrare agli altri di essere persone in gamba, che per scelta realmente sentita, non fosse proprio il massimo.

Per alcuni è così, una ripartenza, un cambiamento dovuto in primis a se stessi, per altri solo una continua lamentela, un inveire continuo che richiede impegno e energia, che potrebbero essere profuse in modo costruttivo, piuttosto che dissacrante e distruttivo.

È difficile proseguire un cammino tutto in salita, un cammino che si «diverte» donandoci sprazzi di soluzioni, valide per poche ore, prima di farci sprofondare nuovamente in quel vortice di disperazione.

I numeri dei morti non calano, quello dei contagi, strettamente correlato alla nostra condotta, centri commerciali stracolmi, lunghe file d’attesa per acquistare l’ultimo smartphone uscito sul mercato, oppure le ultime scarpe a cui non si può proprio rinunciare.

Così, tra ristoratori chiusi e destabilizzati economicamente, tra parchi giochi in cui non si vede più un bambino giocare, tra scuole aperte e chiuse a spot, eccoci qui, a dare «colpe»a tutti, tranne che a noi…

Difficile credere a chi dice di ritrovarsi in difficoltà economica e poi vederli accalcati per non perdersi l’inaugurazione di un nuovo centro commerciale, o prendere parte al veglione di Capodanno.

Intanto la gente, quella realmente in difficoltà, si ammala, muore, viene dimenticata.
C’è sempre il «furbo», quello che non rinuncia, quello che è tutta un’invenzione, quello che non si ricrede neanche quando è la sua famiglia ad essere colpita.

Io non lo so come è fatto questo virus, perché colpisca persone perfettamente in salute e le annienti in poche ore, oppure perché in soggetti anziani ed a rischio, venga sconfitto.

So solo che, proprio a causa di tante incertezze, forse sarebbe meglio iniziare a preoccuparsi davvero di chi ci sta intorno.

Dobbiamo fare rinunce pesanti, è vero e lo so, dobbiamo cambiare stile di vita e non è facile, dobbiamo girare con una sorta di «museruola» che ci impedisce di cogliere mimiche ed espressioni, che non ci rende riconoscibili, ed è un tormento.

Ma so che non sarà per sempre, che non possiamo arrenderci, che se vogliamo, possiamo tornare a riprenderci in mano le nostre vite.

Giorni densi e pesanti, in una Lombardia che non smette di assistere attonita a ciò che l’ha investita e questo vale per molte altre regioni d’Italia.

Complicato continuare ad avere visioni ottimistiche, complicato riprendere a scrivere, quando si potrebbe narrare di altri scenari, ma complicato anche far finta che tutti siamo cambiati in peggio, perché non è così, fortunatamente.

Allora, concediamoci il beneficio di non essere diventati tutti insensibili, o alla ricerca di facili consensi, di loschi affari, di perdita totale di umanità.

Per voi, qualche testimonianza di amore che vincerà su questo virus destinato a morire, come tutte le cose senza cuore.

A Bari, i poliziotti del IX Reparto mobile, hanno rinunciato ai buoni pasto, donando 25mila euro, in generi alimentari di prima necessità alle famiglie in difficoltà.

Un gesto bellissimo per essere vicini ai cittadini e alle sempre più numerose famiglie che hanno bisogno d’aiuto e che versano in difficoltà economiche.

25 mila euro, sono più di 4500 pasti a cui tutti gli agenti hanno deciso di rinunciare.
Tonnellate di beni alimentari, farina, passata di pomodoro, scatolame, latte, distrubuite da volontari a chi, a causa di questa situazione, aveva smesso di sperare.

Poi c’è anche la storia di
Mattia Villardita, impiegato terminalista in un porto della Liguria, di 27 anni.

Lui, indossa gli abiti di Spiderman porta regali e conforta i bambini ricoverati negli Ospedali. Contribuisce ad alleviare le sofferenze dei più giovani pazienti ospedalieri.

Si è trasformato in Spiderman perché

fino a 19 anni è stato all’Ospedale Gaslini di Genova a causa di una malformazione congenita, che lo ha portato a subire parecchi interventi chirurgici e a stare tantissimo tempo in una corsia d’Ospedale.

Sa benissimo quello che provano i bambini e le loro famiglie. La maggior parte del suo tempo libero è dedicata a questo progetto in cui crede tantissimo.

Spiderman è un personaggio umile, che con il tempo, non ha mai spesso di piacere ai bambini. E’ diventato la sua seconda pelle consentendogli di fare del bene in prima persona.

Avendo provato sul suo corpo cos’è la sofferenza, cos’è stare nei reparti ospedalieri, ha il vantaggio di sapere cosa i bambini vorrebbero intimamente.

La felicità dura pochi minuti, perché i bambini sono tanti, ma lascia un dono di Spiderman, un giocattolo o una medaglia, in modo che possano ricordare quell’attimo.

Il suo progetto di andare in corsia è nato tre anni fa, ma da sempre ha avuto voglia di fare del bene. Aiutarsi a vicenda, facendo un pezzettino ognuno, ci porterebbe un mondo migliore.

Un modo per esserci, per sconfiggere solitudine e sofferenza che oltre ad essere nocive a livello fisico, lo diventano psicologicamente se non si viene spronati.

Abbiamo anche letto di pane sospeso, pasti sospesi, carrelli solidali, iniziative che hanno fornito una grande mano di aiuto a chi, oltre a doversi difendere dalla pandemia, non ha magari una casa in cui recarsi per stare al caldo, ha perso il lavoro, oppure deve sostenere spese onerose di cui non riesce più a farsi carico.

Ma la pandemia, oltre che a creare problemi ai cittadini italiani, li crea in modo evidente, a chi, si reca nella nostra terra, per avere una seconda possibilità.

Si crea maggiore il divario tra chi, una volta giunto nel nostro paese, non ha un lavoro dignitoso, qualcuno in grado di dare supporto nei momenti bui e nonostante tutto, senza chiedere nulla in cambio, decide di occuparsi della pulizia delle strade, della cittadina che lo ospita.

Questa è la storia di John, migrante di origini nigeriane,
che ormai da due anni offre il suo servizio di pulizia delle strade ai cittadini di Ciampino, paese alle porte di Roma.

L’uomo, recentemente, ha perso la madre a causa del Covid. La sua situazione economica precaria non gli permetteva di acquistare un biglietto aereo per tornare in Nigeria per il funerale della madre.

La comunità di Ciampino, non è rimasta indifferente, ed ha organizzato una raccolta fondi solidale per Jonh. Ad organizare la colletta è stato il gestore del Geff Caffè Cristian De Filippis, che conosce bene la storia di Jonh.

Dopo sei anni di conoscenza infatti, Cristian non lo ha mai sentito chiedere nulla, ma lo ha sempre visto educato e sorridente, nonostante i suoi problemi.

Vedendolo piangere fuori dal bar , si è stupito, e dopo aver chiesto il perché di quella tristezza, ha capito che aveva appena saputo della morte della madre e del fatto che non aveva i soldi per rientrare in Nigeria e salutarla per l’ultima volta.

Da lì, l’idea di far nascere un salvadanaio solidale, da esporre sul bancone del bar.

In breve tempo il salvadanaio solidale si è riempito di monete e banconote che i clienti, conoscendo Jonh da tempo, hanno affettuosamente donato. Soldi che sono arrivati dalla città, ma anche da fuori.

Poi è arrivato il giorno tanto atteso, quello della consegna, il gestore del bar ha fatto entrare John all’interno del locale con una scusa, per poi consegnargli il salvadanaio, alla presenza di poche persone, che hanno assistito alla scena commovente, riprendendola e condividendola sui social per mostrarla ai tanti cittadini che, a causa del Covid, e alle restrizioni imposte dalla norme anti contagio, non hanno potuto essere presenti.

John, è scoppiato in un pianto colmo di gratitudine, e tra i singhiozzi e la commozione, dei presenti, più volte ha detto: grazie!
Una parola che non è più di moda ma che non smette di essere importante.

Tre storie, di vita vera, di azioni non imposte né guidate da nessuno.
Tre modi per trasformare: incertezze, dolore, smarrimento in solidarietà, condivisione, umanità.
Tre boccate di ossigeno, in questa pandemia che provoca fame d’aria, che azzera l’ottimismo.

Ma anche tre storie che dimostrano quanto, con poco, possiamo fare.
Inveire, accusare, sottovalutare, non serve a nulla, ci mette alla pari di un virus che in modo invisibile mina la vita altrui, la punisce e la spezza.
Possiamo sempre scegliere da quale parte stare, facciamolo ora, perché, salvare gli altri, far loro del bene è un po’ come farne a noi…

©® Foto di Alessandro Veronesi

Anna Lisa Minutillo
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Pubblicato da Anna Lisa Minutillo

Blogger da oltre nove anni. Appassionata di scrittura e fotografia. Ama trattare temi in cui mette al centro le tematiche sociali con uno sguardo maggiore verso l'universo femminile. Ha studiato psicologia ed ancora la studia, in quanto la ritiene un lungo viaggio che non ha fine.