Dalla Monarchia alla Repubblica, dalla brillantina al phon!

di Jp Soglio

STORICO ALLA BRILLANTINA
il mio 2 Giugno, ovvero, per capire da dove vengo e che salto sociale e culturale ha dovuto fare la mia generazione.

Era la fine della terza media, maggio 1966 o giù di lì, l’insegnante di storia ci aveva assegnato il compito di preparare una “ricerca” (allora si chiamava così, non ancora “tesina” o “presentazione”) su un argomento a scelta, da presentare, su fogli protocollo a righe, in bella scrittura, fascicolati con un nastrino colorato, al colloquio d’esame di licenza.
Bello! Ma che fare? Su quale argomento cimentarmi? E dove trovare la documentazione necessaria, visto che in casa c’erano solo i testi in adozione a scuola, le biblioteche non esistevano e i libri da acquistare, tutti i libri, costavano cifre improponibili per nostro bilancio familiare.

In quegli anni, mio malgrado, andavo da un parrucchiere che aveva bottega vicino a casa mia, si trattava di un locale piccolino, al pian terreno di una piccola casa. Al piano superiore abitava il barbiere con la famiglia e al mattino scendeva al piano di sotto, apriva, lavorava e la sera saliva al piano superiore. Così per tutta la vita, in questa esaltante Brianza piena di operai e qualche residuale contadino ancora più povero.

Il parrucchiere era una brava persona, anche abbastanza socievole, dato lo stile brianzolo dell’epoca, ma io non lo sopportavo. Lui non ne aveva colpa, era figlio del suo tempo, tutto macchinetta e brillantina.
Mi tagliava i capelli corti, con quella sfumatura sulla nuca fatta con la macchinetta e lasciava solamente una specie di spazzola-ciuffetto e poi ricopriva il tutto con la brillantina, come si faceva con tutti gli uomini dell’epoca, ragazzi compresi.
Io odiavo i capelli corti e la brillantina, da sempre, ma mio padre mi costringeva ad andare in quel negozio sotto casa, a buon mercato, dove andavano anche lui e mio nonno.
Una volta venni scelto per recitare una poesia in onore del vecchio parroco del paese, sull’altare, la domenica pomeriggio in chiesa.

Vi direte, e che c’entra il 2 giugno? Calma, ci arrivo.

Il sabato, prima della recita, mi portano dal macchinettofilo barbiere che mi fa il trattamento solito, rasatura con la macchinetta, a mano, non elettrica, e poi brillantina come se non esistesse un domani.
Io volevo sprofondare: ero già timido allora, timidissimo, dovevo andare sull’altare davanti a tutti, recitare la poesia con in testa quell’intruglio puzzolente e appiccicoso? Piuttosto la morte!
Eppure ci andai, assieme ad altri tre o quattro compagni recitanti.
Alla fine il parroco disse, grazie, sono molto commosso, tutti bravi ma il più bravo è stato quello là, quello con la brillantina!
Volevo disintegrarmi sull’altare, immolarmi e gettarmi nel fuoco dei sacrifici umani ma purtroppo quella domenica non si celebravano riti aztechi.
Bene, torniamo al barbiere e alla mia ricerca per l’esame di terza media.
In quei giorni (attacco narrativo che crea una discreta attesa, usato spesso anche dagli evangelisti, veri maghi del “adesso ti spiazzo”), in quei giorni, dicevo, finisco ancora dal barbiere e mi siedo su una seggiolina in attesa del mio turno.
L’unica cosa che mi piaceva dell’andare dal barbiere era che potevi leggere le riviste mentre eri in attesa, riviste che in casa nessuno comprava (spese non ammesse nel bilancio). Non parliamo di gossip ma di La Domenica del Corriere e, se ti andava bene, Epoca, con grandi foto in un bianco e nero meraviglioso.
Un’altra cosa che valeva la visita dal barbiere era un calendarietto a più pagine, profumato al talco, che ti regalava sotto Natale, in versione bucolica per i ragazzi e in versione “porno” per gli adulti (e sul concetto di porno dei primi anni Sessanta ci sarebbe da ridere per una settimana).

E la ricerca?
Ci arrivo.
Dunque, la domanda era: su cosa farò la ricerca? Dove troverò la documentazione?
E qui lo storico in erba mostra, per la prima volta, le sue risorse segrete dettate dalla disperazione. Mentre attendevo il mio turno dal barbiere brillantinomane comincio a far passare vecchi numeri di riviste poste sul ripiano di un tavolino di vetro e metallo. Sfoglia e sfoglia, fino a quando non mi compare tra le mani un numero della Domenica del Corriere dedicato al Referendum Monarchia-repubblica del 2 Giugno 1946.
Non è che ne sapessi molto, in classe non ne avevamo mai parlato, credo, perché alla storia post Seconda Guerra Mondiale non ci si arrivava allora come non ci si arriva oggi. Allora ho chiesto al barbiere in prestito la rivista che aveva l’inserto speciale, proprio dedicato agli avvenimenti storici che portarono al referendum e al suo esito.
Sostenni il colloquio ma non ricordo nemmeno se mi chiesero qualcosa sulla mia ricerca, né a me e nemmeno ala mia odiata brillantina. So che andò bene, senza lode e senza infamia, più o meno come sarebbe stata la mia vita, da quel giorno in poi.
Il giorno seguente riportai la Domenica del Corriere dal barbiere, ringraziai come mi aveva insegnato mia mamma, sempre ringraziare, e fu l’ultima volta che entrai in quella bottega.

Ormai ero diventato grande, sarei andato a lavorare in una piccola officina meccanica durante l’estate e a settembre alle superiori, quindi mi sarei scelto il mio parrucchiere (non barbiere) personale.
E lo trovai, in un altro quartiere del “centro”, uno che non ti rasava con la macchinetta, usava le forbici, non ti metteva la brillantina ma ti asciugava i capelli col phon e te li lasciava lunghetti, che svolazzavano alle prime brezze autunnali.
Posso dire che il 2 Giugno è stato anche per me un rito di passaggio?
Dalla Monarchia alla Repubblica, dalla brillantina al phon!

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