Dialogando con Luca Calabrese (seconda e ultima parte)

DI OSCAR PIAGGERELLA

 

Da cosa e come sono scaturite le tue molteplici partecipazioni internazionali?
“Alla fine degli anni ’90, dopo dieci anni passati sul Lago di Como, torno a vivere nel Monferrato. Qui incontro il contrabbassista Franco Ferruglio e il chitarrista Christian Saggese con cui formo un trio di improvvisazione radicale; il Metamorfosi Trio. Grazie ad alcune registrazioni veniamo scelti per un progetto culturale della Provincia di Asti e della Contea dell’ Halland in Svezia.

Due scuole d’arte e sei musicisti, tre italiani e tre svedesi. I tre musicisti svedesi erano il fulcro della band progressive Isildurs Bane. Da lì nacque una collaborazione fra i due gruppi ed oggi sono orgogliosamente parte di Isildurs Bane.
Piccoli tour in Svezia e in Italia e poi nel 2005 la prima edizione dell’ IB Expo, un evento che prevede una settimana di prove in cui si lavora sul materiale di ogni musicista coinvolto e che sfocia poi in un concerto di tre ore. Il teatro dell’evento parte dalla sede degli IB nel Kulturhuset di Halmstad. Ospiti della prima edizione Mike Karn, Jerry Marotta e Tom Griesgraber. Da questo punto è partita la mia storia più recente.

Anno dopo anno IB Expo mi mette in contatto con realtà musicali sempre nuove e il mio giro di collaborazioni si allarga sempre di più. Grazie a Markus Reuter, incontrato nel 2006, e dopo alcune collaborazioni discografiche, conosco Lee Fletcher che sta producendo Propeller, il primo album di Grice Petters, e mi chiede di parteciparvi. In seguito incontrerò Richard Barbieri e mi troverò a dividere il palco con lui e David Torn. Dopo di che registrerò per il nuovo album di Grice Alexandrine.

Luca, Mi stai parlando di musicisti che amo profondamente e che spero un giorno di poter conoscere personalmente e manifestare la mia stima a loro con una forte stretta di mano. Che ricordi hai di loro?
“Più che di ricordi ti parlerei di loro, del loro modo di essere e del perché ci si è trovati così bene l’un con l’altro. Ti parlo di musicisti cui sono molto legato per i motivi più vari. Il primo è sicuramente Mick Karn (ex Japan, ndr.)con cui ho avuto un ottimo rapporto sin dal primo momento forse proprio per il fatto che prima che ci incontrassimo ignoravo bellamente chi fosse. Mick non era parte del mio background culturale e lui, così conosciuto nel mondo e attento a sfuggire da chi cercava collaborazioni per sfruttarne la fama, si è sentito tranquillo e apprezzato come musicista sicuro del fatto che suonassi con lui per la musica che proponeva e per il suo modo unico di suonare il basso e non perché era un personaggio famoso a livello mondiale.

Ognuno ha le proprie legittime paranoie ma le sue mi sono subito sembrate più che giustificate. Il nostro è stato subito un incontro fra persone. Un giorno, durante le prove, mi ha preso in disparte per dirmi che la mia presenza nel suo progetto, di cui si parlava in quei giorni, era imprescindibile. Il gruppo oltre a me, prevedeva la partecipazione di Markus Reuter alla Touch Guitar e Pat Mastelotto alla batteria. Purtroppo però Mick si è ammalato quasi subito e dopo pochissimo tempo è “volato via”. Il nuovo gruppo di Mick Karn è rimasto un bellissimo sogno.
Qualche anno dopo, all’IB Expo 2013 mi ritrovo a dividere la scena, la sala prove, il ristorante e il bar con Richard Barbieri (ex Japan, ndr.) e David Torn (ex Everyman Band, ndr.).

David lo conoscevo per le sue innumerevoli collaborazioni (fra le altre quella con Don Cherry) ma suonare con lui e soprattutto poter condividere intere giornate e lunghe chiacchierate è stato un grande privilegio che si è ripresentato più volte da allora. E’ uno di quei personaggi che donano molto di sé stessi, che si mettono in gioco completamente, dal quale apprendere cose di cui ignoravi l’esistenza fino a un attimo prima e che scopri importanti per la tua crescita, musicale di certo, ma sicuramente umana. David non è un chitarrista: è la chitarra, in tutte le sue forme. E’ il loop, è il suono ed è il rumore, programmazione e casualità. E’ un cane sciolto come lo sono io e, forse, è proprio per questo che andiamo tanto d’accordo. Ma lui emana luce propria.

Per Richard Barbieri il discorso è leggermente diverso, perché diverso è il suo approccio alle cose della vita e alla musica, diverso è il carattere della persona e quindi diverso è anche il modo di vivere la musica e il palcoscenico.
Una delle cose che mi sono sempre piaciute di Richard è che, in mezzo ad un mondo di musicisti che si autoproclamano star (il mondo del cosiddetto Jazz ne è pieno ma anche quello del Rock non scherza) lui continua a definirsi con orgoglio musicista professionista e su questo dovremmo ragionarci tutti un po’ su. Richard è una persona estremamente gentile, timida, sensibile. È un maestro del minimale e, come già detto per David, lavorando con Richard mi sono reso conto di quante cose avevo da imparare da lui. Lui è uno che ti riporta sempre all’origine, al silenzio, al primo suono e questa è una condizione mentale prima ancora che musicale. Da trombettista ho sempre sentito forte la lezione di Miles Davis sul silenzio fra un suono e l’altro.

Mettere in pratica questa lezione non è sempre così semplice per i motivi più svariati che vanno da un certo egocentrismo alle immagini distorte che si possono avere di se stessi. Richard mi ha dato modo di migliorare sotto questo aspetto, imparando a lavorare con umiltà estrema come lui stesso fa quotidianamente e ho scoperto quanto può essere appagante diventare il colore che poi lui userà per dipingere la sua opera. La collaborazione artistica con Richard Barbieri è stata finora molto prolifica con l’album Planet + persona, i cinque Ep della serie Variants e il nuovo Ep appena pubblicato Past Imperfect / Future Tense che fa da ponte fra la musica dell’ultimo album e le nuove idee di quello previsto per l’anno prossimo”

Mi commuove sentire come li ricordi. Ora dimmi qualcosa di te, della tua vita privata, dei tuoi progetti futuri, sempre che ti faccia piacere parlarne.
“Non so se ci hai fatto caso: nel 1975 comincio a suonare la tromba, nel 1985 registro il mio primo disco di jazz, nel 1995 prendo ad esplorare gli ambienti musicali meno mainstream, registro Skydreams con il Jazz Chromatic Ensemble ed esordisco con l’italian Instabile Orchestra al jazz festival di Tivoli. Nel 2005 il primo IB Expo che come già raccontato, ha reso possibili svariate collaborazioni e nel 2015, un problema di salute mi obbliga a fermarmi per otto mesi durante i quali però non mi abbatto minimamente e diventano un momento di profonda riflessione su ciò che vorrò essere.

Da lì è cominciata la vera rivoluzione attraverso la ricerca del mio suono, un approccio completamente diverso alla tromba, un’idea diversa di musica. Il musicista che sta fermo su sé stesso non può andare da nessuna parte e quella per me è stata l’occasione per mettermi in un viaggio lento ma continuo che ha dato subito i suoi primi frutti. Posso citare Colours Not Find In Nature con Steve Hogarth, Off The Radar e poi In Amazonia con Peter Hammill. Tre album firmati Isildurs Bane che affiancano l’intensa produzione con Richard Barbieri e l’ultimo Grice.

Un saggio amico anni fa mi diceva che avrei dovuto cercare l’originalità e rendere riconoscibile il mio suono: se ancora non ci fossi arrivato, so di essere sulla strada giusta.”
Grazie Luca…

A cura di Feellin’Blue

©® Copyright foto di Fabio Proh

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