Diamine! Ormai la tua voce è lontana

DI GIOVANNI BOGANI

“Diamine”, “dianzi”, perdinci”, “Dioneguardi”, “D come Domodossola”. Ti piaceva, mamma, la D di Domodossola. Nitida, sonora, inattaccabile, la D come Domodossola. Al lavoro, eri abituata a fare lo spelling delle parole: A come Ancona, B come Bari e C come Como non ti davano soddisfazione: ma D come Domodossola, quella sì!

Stenografavi e usavi con disinvoltura la macchina da scrivere, mamma. Non era mica poco, per una ragazza nata nel 1923. In fondo, ho fatto di meno io. Sono nato da due persone che sapevano scrivere a macchina, da un padre che sapeva di chimica, che conosceva l’inglese abbastanza da leggere i libri in quella lingua: e io so scrivere al computer, leggo in inglese, ma la chimica non l’ho mai saputa. E non ho neanche imparato molte cose di più, né sulla vita, né sugli esseri umani.

Non dicevi mai parolacce, anche se “una semplice”, io bambino sospettavo che non fosse proprio una parola celestiale, dal tono con cui lo dicevi. Però cercavo di capire, tra me e me: “ma che cazzo vuol dire ‘una semplice’? Una semplice che cosa? Cos’è semplice?”.

E soprattutto, avevi un ritmo tutto tuo nel dire le cose con aggressività. Con chi ce l’hai? Ti chiedeva papà. “Eh, ce l’ho con l’ova!” dicevi tu, come se nessuno potesse capire con chi ce l’avessi. Ma “ce l’ho con l’ova” era una sentenza terribile.

Che poi, era pronunciato tutto insieme: celòcollòva!! Tu-tù tu-tùm, pah! Oppure ancora: eh, lo so io, con chi ce l’ho. Anatemi terribili che venivano evocati. Per tutto il tempo in cui hai potuto, cioè fino a quando non sei divenuta piccola, fragile, sei stata fiera, solenne e minacciosa come un cielo prima del temporale.

Dovevo capirlo, negli ultimi anni, che non eri più così. Che non potevi fare più quel male che mi facevi, quando ero piccolo e ci facevi sentire miserabili, me e papà, incapaci di comprendere il tuo infinito e silente dolore, pronto a trasformarsi in furiosissimo sdegno, come quello di Samuel L. Jackson quando cita Ezechiele 25:17 in Pulp Fiction.

Che poi quel brano biblico non è mai esistito.

Ormai la tua voce è lontana, mamma. E anche i tuoi silenzi, anche il tuo furiosissimo sdegno. È difficile spiegarlo, ma i tuoi silenzi non li sento più. Sono pieno di questo silenzio sporco dei miei giorni, con i piccoli rumorini delle cose che accadono, con il loro scivolare verso l’inevitabile, anche per me.

Immagine tratta dal webPubblicità

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