Distacco

DI ANTONIO MARTONE

Quando si lascia una città in cui si è vissuto, anche se la si lascia per poco tempo, e soprattutto quando in quella città si è amato intensamente qualcosa o qualcuno, si spalanca nell’animo una voragine grande quanto il mondo che s’è appena lasciato.

Il treno sta per partire, si odono confusamente gli altoparlanti annunciare arrivi e partenze, il brusio e la concitazione dei viaggiatori stride con il pathos del nostro animo.

Poi, la stazione s’allontana, ci si inoltra ineluttabilmente fuori dalla città, mentre i nostri occhi interiori continuano nell’abbraccio con le realtà che si sono abbandonate, cercando di trattenerle.
Ci sentiamo inglobati in un vortice che non padroneggiamo.

L’aereo corre sulla pista, si alza e, in un batter d’occhio, ci catapulta nel cielo. Ammiriamo ora dall’alto quella città nella quale, per giorni e notti, eravamo solo un puntino, e quel puntino eravamo noi, e quel puntino era tutta la nostra vita.

L’intera esistenza è segnata da partenze e da arrivi. Da quando veniamo al mondo, e fin quando dovremo lasciarlo, non facciamo altro che avvertire, più o meno distintamente, un vuoto grande quanto il mondo che segnala l’abbandono – più o meno lacerato (ma talvolta anche esaltante) – di un luogo dell’animo e la partenza verso l’ignoto.

Immagine tratta dal web

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