E il mio profilo che mai mi è piaciuto, è ciò che mi distingue (Della Bruttezza-Confessione)

di Daniela Marras

Della Bruttezza – Confessione

Avevo letto un’intervista a Barbra Streisand, tempo fa, in cui la famosissima artista dichiarava che sua madre non le aveva mai detto che era bella. Il giornalista commentava dicendo: Sappiamo almeno che la madre di Barbra Streisand non diceva bugie!
Non sempre quindi “ogni scarafone è bello a mamma soia” (se si scrive così).

Prima ancora avevo letto ne “I rapporti umani” di Natalia Ginzburg “… quando gli altri ci parlano, vorremmo coprirci il viso con due mani tanto ci sembra brutto, informe il nostro viso” e, condividendo lo stesso pensiero, l’avevo trascritto, tra tanti, in una delle mie agende dove riporto le citazioni letterarie che più mi piacciono o con cui mi sento in sintonia.
Anni dopo, avevo trascritto la seguente citazione tratta da “Il valzer degli addii” di Milan Kundera (ho dovuto controllare le mie agende, pensavo fosse ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”): “Se Olga fosse stata solo un po’ più stupida, forse si sarebbe considerata carina. Invece era intelligente e si vedeva molto più brutta di quanto non fosse in realtà, giacché, a dire il vero, non era né brutta né bella, e qualsiasi uomo di esigenze estetiche normali avrebbe passato volentieri la notte con lei… che cosa importava essere fatta così o in un altro modo? Perché si tormentava a causa di un’immagine allo specchio?… Non era proprio capace di essere indipendente dal proprio aspetto, almeno nella misura in cui lo è ogni maschio?”.
E, anche se non ero più una adolescente, mi ero sentita in sintonia con la canzone “Brutta” presentata a Sanremo da Canino.

Insomma, l’avrete capito, da una certa età in poi mi sono sentita “BRUTTA”.
Provate voi ad essere la sorella di tre bambole!

Forse la prima volta in cui mi sono sentita brutta è stato al campeggio estivo con le suore del Cottolengo, non ricordo l’anno.
Non accorgendosi che io ero nei paraggi e a portata d’orecchio, avevo sentito tre ragazzine più grandi di me, di cui ricordo nome e cognome, affermare: “Sono belline le sorelle, la grande no, la grande a me non piace”, “Neanche a me”…
Passi pure sentire simili affermazioni, mi ero allontanata ed ero andata vicino alla recinzione con  vista sul mare, non so con che pensieri, passi questo ma non avevo sentito solo io, aveva sentito anche la seconda delle mie sorelle che si era quindi avvicinata a me per consolarmi… Ed io l’avevo allontanata, forse non troppo gentilmente.
A tredici/quattordici anni, scrivevo nel mio diario, tutte le sere o quasi, frasi del tipo “Sono  brutta”, “Mi vedo brutta”,  e poi “Mi sono fatta la frangetta per provare ad essere bella artificialmente visto che  non lo sono naturalmente” per aggiungere subito dopo “Ma chi è brutta resta brutta”.
Quando ero al ginnasio, mentre ero in pullman di rientro a casa, una ragazza del mio paese, più grande di me e di cui, anche in questo caso, ricordo nome e cognome, mi aveva toccato la spalla (era seduta dietro di me), io mi ero girata e rigirata subito e un ragazzino seduto a fianco a lei, (anche di lui ricordo nome e cognome), : “Girati, girati, tanto sei brutta” e la ragazzina: “Ma no, è molto carina”… Nel mio diario avevo trascritto l’accaduto traslitterando con l’alfabeto greco, chissà poi perché …
Forse quell’estate, o un’altra chissà, eravamo al mare, in una villa bellissima. Durante un pranzo, babbo esclama: “Daniela non è bella. È un tipo!”, come se la cosa avesse dovuto tirarmi su.
Della mia faccia da “tipo”, dapprima attribuivo la causa della mia bruttezza al naso, poi a tutta la faccia, specialmente di profilo.

Che mi portassi questo peso addosso, fino all’università, l’aveva indovinato un prete con cui le suore del pensionato per studentesse dove alloggiavo ci avevano fatto colloquiare.
Durante questo colloquio, che ci era stato più imposto che proposto, ero scoppiata a piangere e lui: “Ma ti senti brutta? Non sei brutta!”.
Ma io non ho mai creduto ai “Non sei brutta”.
Da bambina non mi ponevo problema alcuno. Ero una brunetta che si piaceva pensando che anche Cleopatra era bruna e bellissima.
Poi, con l’adolescenza e I suoi cambiamenti fisici e mentali, ecco, avevo smesso di piacermi. Bella, bellissima o brutta che fossi agli occhi degli altri, non mi piacevo e mi vedevo brutta, bruttissima.
Sono una che non si piace. Per me non vale il “Non sono bello. Piaccio” che con allegria sosteneva Jerry Calà, in un qualche film o telefilm.
Il fatto è che anche Platone sosteneva che attraverso il Bello si arriva al Buono, se non ricordo male, e a me è sempre piaciuto il “Bello”, nelle persone, nell’arte, nella natura.
Il Bello fatto di proporzioni classicheggianti, di ritmi armonici, di aspetto good-looking, il Bello che ti rapisce. Insomma ho sempre avuto esigenze estetiche medio-alte, anche per i ragazzi. Non ho mai trovato fascino nella bruttezza. E nemmeno nei “tipi”, tantomeno in quelli che si piacciono ogni mattina guardandosi allo specchio. Finora…
Eppure mi vedevo bella agli occhi degli altri, talora. E talora anche bellissima nelle foto. Foto che ora riguardo trovandomi perfino radiosa.
E il mio profilo che mai mi è piaciuto, è ciò che mi distingue. Durante una sessione di “Expression Corporelle”, sempre al pensionato universitario, eravamo state invitate a sostare, una ad una, su un palco dietro un telo su cui si proiettava la nostra ombra, di fronte e di profilo. Le altre stavano giù e dovevano indovinare chi fossimo: ebbene, vedendo la proiezione della mia ombra di fronte, nessuna indovinò ma, appena mi mostrai di profilo, ecco tutte in coro esclamare “Daniela!!!”.
Ecco, il mio profilo è il MIO profilo!

Durante gli anni dell’Università, ho cominciato a diventare miope e quindi a dover portare gli occhiali. Sapete come chiamavo gli occhiali? “Occhiali-vedo-brutto”! E perché mai? Perché con il difetto della miopia, finché non fu diagnosticato, vedevo tutto e tutti avvolti in una nuvola ad effetto flou. Vedevo pelli e carnagioni senza difetto alcuno, contorni sfumati, lineamenti addolciti. E invece, invece, indossando gli occhiali, potevo notare imperfezioni e irregolarità a iosa, in tutto e tutti. Effetto occhiali-vedo-brutto, appunto!

Ora sono over fifthy, con i cambiamenti che il tempo comporta per tutti, maschi e femmine, (anche Piero Pelù cantava “Il mio corpo che cambia.. è in trasformazione”) e, in particolare, per le femmine, come io sono.
Vabbè i capelli bianchi, vabbè le rughe, vabbè i capillari rotti nelle gambe e nelle cosce che sono diventate una carta geografica, vabbè dover fare togli e metti con gli occhiali, vabbè la perdita della fertilità (cosa di cui non mi è mai importato), vabbè l’ipertensione, vabbè dolorini e acciacchi vari…, passi tutto questo, ma che si debba aumentare di peso per colpa del rallentamento del metabolismo e mettere su chili senza aver modificato lo stile di vita e lottare contro i mulini a vento cercando di mangiare meno e camminare di più (non mi si chieda altro quanto a “movimento” e “fitness”), ebbene, è un cambiamento difficile da accettare, a cui ho cercato e cerco di porre rimedio semplicemente cambiando taglia e modo di vestire, ahimè!
Magra consolazione che le donne curvy siano tornate di moda… – così si dice – ma, in realtà, ciò che continua a essere affermato, più o meno esplicitamente, è che “grasso è brutto”. Figurarsi per me che da bambina ero magrissima e venivo chiamata “stuzzicadenti” a casa, e che a diciotto anni facevo perfino digiuno per vedermi in forma e che, in effetti, a parte brevi parentesi in cui raggiungevo i quarantotto chili (orrore! orrore!), in effetti dicevo, sono sempre stata magra e anche magrissima. Vedermi nelle foto del passato e vedermi ora, con le forme da “Venere del Paleolitico”, tutta tette, pancia, sedere e cosce… beh, non mi rallegra.

“Accetta il tuo corpo!”, “Accetta il tuo corpo!”, dicevano in una gag un gruppo comico di cui non ricordo il nome finché la donna a cui continuavano a ripetere “Accetta il tuo corpo!”, si dava un colpo di accetta, uccidendosi…

Di recente mio padre, che ora parla senza filtri e sovrastrutture galanti, ha affermato: “Come sei bella!”, rivolta alla quarta delle sue figlie, e poi ha aggiunto: “Tutte belle le mie figlie! Tranne Daniela, Daniela no. Daniela non è bella, è molto simpatica però…”.
Eccomi servita!
Dovrò aspettare gli ottanta anni, come Iva Zanicchi, che ho visto in una trasmissione (si è vista in tutte le possibili trasmissioni Rai e delle TV private, di recente), dicevo, l’ho vista e sentita affermare che tutti ora le dicono che è bella mentre da giovane non era considerata così, nemmeno in famiglia, rispetto alle sue sorelle.

Eppure, pur non piacendomi, non mi ha mai sfiorato l’idea dei ritocchi chirurgici. Nemmeno per un secondo. Mi piacciono particolari del mio corpo e del mio viso: le sopracciglia folte che non alleggerisco, le labbra, i polsi, i piedi… Mi piace truccarmi e, da quando ho cominciato a farlo, ero al liceo, mi piace il mio volto con gli occhi sottolineati dal kajal e, da “giovane” non amavo mostrarmi senza trucco, “nature”.  Ai tempi dell’università, mi ero sentita a disagio a dovermi mostrare senza gli occhi truccati quando mi era venuta una forma di allergia a non si sa cosa, che poi si è ripresentata a primavera, per qualche anno di seguito.
Ho sempre avuto presente la frase recitata da Totò alla fine di uno dei suoi film che, quando ero bambina e ragazzina, vedevamo in bianco e nero. Ho sempre ricordato e portato con me l’invocazione di Totò al Creatore: “Rendi, se vuoi, questa mia faccia ancora più ridicola ma aiutami a mostrarla con disinvoltura!”. Qualcosa del genere ricordavo. Ora ho trovato il monologo su YouTube, come “Preghiera del Clown”, a colori. Ecco il link, per chi volesse:

https://www.youtube.com/watch?v=ZGnrZGEZ0Nc

Show must go on!
(Totò è vissuto prima di Freddy Mercury).

Pavia 12 giugno 2022

 

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