E tu ma’ piccino

DI GIOVANNI BOGANI

Chissà a chi volevi assomigliare, delle principesse che vedevi su “Gente” o su “Oggi”. a Jacqueline Onassis, che se ne stava sul panfilo dell’uomo più ricco del mondo? A Grace Kelly, elegante, composta, diventata principessa? In ogni gesto, in ogni scelta, cercavi di andare lontano dalla volgarità. Anche nello scegliere l’acqua brillante, al tavolino di un caffè. Forse ti vergognavi di essere sovrappeso: dicevi di te stessa “sono un bolide”, e io non capivo, per me i bolidi erano corpi celesti, erano i meteoriti in fiamme che illuminavano il cielo. Le stelle cadenti, via. L’avevo letto in qualche fumetto di “Topolino”. Non sapevo che si usasse dire anche delle persone robuste

Odiavi la volgarità, la gente “materiale”. Quelli che tornavano dai viaggi all’estero raccontando con enfasi cosa avevano mangiato, senza far cenno a che cosa avevano visto: come se avessero solo cambiato ristorante, e non paese, lingua, cultura. Il termine più severo, irrimediabile, per definire qualcuno era, per te, “ordinario”. Per un vestito, o un oggetto, il termine era “pacchiano”. Uomini ordinari e oggetti pacchiani con te non avevano speranze,

Questo non ti impediva di essere cinica, per cercare di difenderti. Se ti criticavano per qualcosa, rispondevi: “Chi ‘un fa, ‘un falla!”. Chi non fa, non sbaglia. E a me, quando mi vedevi aprire il frigorifero, beffarda, sarcastica mi dicevi: “Icché tu guardi ni’ frigo? ‘Un ci cresce mica la roba!”. Se ti dicevano che avevi fatto qualcosa bene, ma forse non benissimo, rispondevi pronta: “A tutti i poeti manca un verso”. Era il tuo modo di dire “non rompetemi i coglioni”. A volte usavi proprio la frase originaria, per purismo. E se qualcosa andava per le lunghe, o non ti convinceva, sentenziavi con disappunto “Sì, ciao core!” e la chiudevi lì.

Ti difendevi a colpi di cinismo: trentacinque anni di uffici affollati, di botta e risposta con i colleghi dovevano averti temprata. Per chiudere un discorso, per disapprovare qualcosa, per lanciare una pietra tombale sopra una proposta, dicevi con sprezzo: “Sì, e tu ma’ piccino!”.

A Hiroshima, nel 1945, dopo la bomba atomica, un bimbo investito dalle radiazioni stette quattro giorni in coma. Aveva orrende ustioni su tutto il corpo. Il quarto giorno si risvegliò, chiese alla madre – che lo vegliava da quattro giorni – un po’ d’acqua. Disse: “Il tuo amore è tanto meraviglioso, vero, mamma?”. Poi “E’ deliziosa l’acqua, vero, mamma?”. E morì. Era deliziosa, la minestrina. Proprio buona.

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