Emilio Longoni, Ghiacciaio

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Emilio Longoni, di umile estrazione – quarto di dodici figli – manifesta, fin da fanciullo, una particolare predisposizione per la pittura, tanto che a Milano, dove si trova per lavorare, trova il modo di frequentare la prestigiosa Accademia di Brera.

Compagno di studi di Segantini, sarà proprio quest’ultimo a metterlo in contatto con galleristi intenzionati a promuovere i giovani artisti; in seguito, nel 1886, riuscirà a prendere in affitto uno studio personale, dedicandosi a ritratti e nature morte, eseguiti soprattutto per l’aristocrazia locale.

Tuttavia Longoni non manca di mostrare, nelle proprie opere, la sua intenzione di denuncia sociale, realizzando importanti dipinti, psicologicamente affrontati, a tema politico ed introspettivo.

Riflessioni di un affamato, è uno di questi. All’interno del rinomato Caffè Biffi, celebre locale milanese, una coppia elegante contrasta, visivamente e moralmente, con il personaggio appostato all’esterno, il quale la osserva.

La critica dell’autore si manifesta, fortemente, attraverso la vocazione sociale della pittura.

Le condizioni materiali e psicologiche dei protagonisti vengono analizzate dal punto di vista morale, ma mai patetico o moralistico: al pari di Pellizza da Volpedo e Angelo Morbelli, il divisionista Longoni assurge ad esponente paladino degli umili, in contesti divisi tra lotte operaie ed emancipazione.

Negli ultimi anni l’artista, nonostante l’impegno e la denuncia sociali, in parte probabilmente disilluso dall’incapacità, talvolta impossibilità, di ottenere risultati concreti, si dedica ai paesaggi.

Un argomento che potrebbe apparire semplice o poco impegnativo, tralasciandone ovviamente l’aspetto tecnico più o meno ricercato, ma nelle realizzazioni di Longoni finisce per assurgere a qualcosa di estremamente meticoloso e ricercato.

Effetti, quelli soprattutto relativi a luce e luminosità, di cui l’artista desidera prendere coscienza personalmente, recandosi sul posto, talvolta pernottando in quota, in una modesta casupola di legno, al fine di coglierne ogni riscontrabile aspetto.

Un lavoro iniziato in loco, poi finito in studio con la mente lucida e concentrata su quanto appena conosciuto grazie ad ardite arrampicate, cui il pittore alpinista non si nega o sottrae.

L’inquadratura, di stampo prettamente fotografico, permette all’osservatore un coinvolgimento del tutto particolare, rendendosi egli conto della propria, possibile e credibile condivisione dell’attimo, incentrato su di una immagine spoglia – priva di figure umane – ma non per questo meno eloquente.

Il ghiacciaio di Emilio Longoni parla e comunica sensazioni dirette, quasi graffianti: meno tagliente rispetto a Il naufragio della Speranza, di Caspar David Friedrich, ma caratterizzato da un’atmosfera simile.

Ed Emilio Longoni, da buon alpinista, sul retro della tela, annota le indicazioni per arrivare in quota…

Emilio Longoni 1859 – 1932
Ghiacciaio (1912)
Olio su tela (87 x 67 cm)
Milano – GAM

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