Ettore Tito, Azzurri

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Ettore Tito nasce a Castellammare di Stabia, nei pressi di Napoli, ma si ritrova, ad appena sette anni, a seguire la madre e i fratelli a Venezia.

Sarà proprio la città lagunare a vederlo muovere i suoi primi passi nel mondo dell’arte, dove frequenterà la prestigiosa Accademia già in età giovanissima: la sua domanda di ammissione viene, infatti, accettata ad appena dodici anni, in conseguenza di un talento tanto precoce quanto manifesto.

Compagno di studi di Pietro Fragiacomo, celebre paesaggista, a sua volta amico di Giacomo Favretto, condivide con i colleghi sia la passione di dipingere dal vero, che l’ispirazione sovente proveniente dalle suggestive calli veneziane.

L’amicizia con Cecilia Van Haanen e Ludwig Passini, arricchisce ulteriormente la sua abilità di vedutista, essendo questi due artisti, per tale qualità, particolarmente apprezzati, soprattutto all’estero.

La passione per la musica, inoltre, non manca di riflettersi in alcune sue opere, in cui ama riprodurre situazioni a sfondo musicale.
Ettore Tito, svolge un ruolo fondamentale nella rivalsa e nobilitazione della pittura italiana ottocentesca, spesso ingiustamente denigrata, e comunque considerata inferiore a quella francese del medesimo periodo, proponendo egli una nuova immagine di realismo in grado di elevarne la semplicità di fondo a suggestiva raffinatezza.

Non è un caso che il suo dipinto più celebre, Con La Rosa tra le labbra, del 1895, risulti emblematico in tal senso.
Toccante, secondo una incantevole sensualità ai limiti della malizia, in cui l’apparente solitudine intreccia sia spensieratezza che tensione.

La noncuranza con cui la giovane donna afferra il fiore, ignorandone eventuali spine, nonché l’enigmatico atteggiamento sospeso tra indifferenza e spavalderia, indicano una palese spontaneità tipica di chi, come evidenzia la giornalista Viviana Filippini, a proposito dell’opera, è pronto ad affrontare la vita.

L’opera riportata, Azzurri, coglie un soggetto tra i preferiti dell’autore, latore di una gradevole e condivisibile serenità in grado di coinvolgere lo spettatore.

Senza pretese altisonanti, ma proprio per questo tanto emozionante, a partire dalla scelta dei cromatismi, fondamentalmente freddi eppure familiari, grazie anche ad una sorta di fusione con il contesto vegetale che permette alla raffinata dama di interloquire con l’osservatore.

Un dialogo, tuttavia, possibile solo entro certi limiti: permeato da un vago alone di mistero, accentuato dallo sguardo distolto e rivolto altrove.

Un espediente volto a sottolineare l’impossibilità di una palese confidenza, relegante il contesto ad una sofisticata, statuaria interazione.

Diretto e, al contempo, contraddittorio: un effetto particolare, ottenibile solo grazie alla sapiente abilità di un autore in grado di piegare luminosità e tecnica ad un consumo visivo e suggestivo.

Ettore Tito attira su di sé anche diverse critiche, tra cui sia quelle di Roberto Longhi, il quale identifica il suo punto di vista, molto fotografico, in guisa di ‘un Paolo Veronese con la Kodak’, che quelle di Ardengo Soffici, quest’ultimo assolutamente non disposto a riconoscerne il talento…

Ma forse è anche questo atteggiamento a determinarne la forza: l’assenza di pretese verso una dimensione di straordinaria ordinarietà…

Ettore Tito 1859 – 1941
Azzurri (1909)
Olio su tela (85 x 50 cm)
Parma – Palazzo Bossi Bocchi

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