Eugenio Finardi, musica come arte dell’assoluto

DI GINO MORABITO

Una licenza di pilota presa e revocata a causa di un cuore fibrillante. Il velivolo che stallava a trentadue all’ora e i giri in tondo sul Po. Il fascino irresistibile di quelle teorie di volo e libertà e le accese battaglie contro il luogo comune.

Eugenio Finardi prende quota con il suo carico di anticonformismo e di vita vissuta, e s’invola. Nel mood di un flusso musicale che supera la parola per arrivare a una trascendenza condivisa tra l’artista ribelle e il suo pubblico.

Giovedì 19 gennaio 2023 alle ore 21.00 aprirà la XIX edizione di Visioninmusica. Sul palco dell’Auditorium Gazzoli di Terni, Eugenio Finardi, cantante, musicista, autore e compositore italiano tra i più noti e apprezzati, si esibirà insieme al saxofonista Raffaele Casarano e al pianista Mirko Signorile.

On stage Euphonia suite, una straordinaria performance per comunicare la profonda esperienza di un percorso sonoro e testuale come un continuum spazio tempo attorno alla massa gravitazionale delle melodie, in contrappunto con le traiettorie degli strumenti musicali. Creando con sapienza armonica congiunzioni sorprendenti.

Parafrasando Vinicius de Moraes.

«La musica è l’arte dell’incontro e l’intesa totale, che ci può essere tra musicisti, è un sentimento ancora più alto e profondo del far l’amore. Con Raffaele Casarano e Mirko Signorile, nel corso degli ultimi dieci anni, si è sviluppato questo tipo di intesa. Come fin dall’inizio della mia carriera è accaduto con Walter Calloni, Lucio Fabbri, Alberto Camerini, gli Area.»

Euphonia suite, la magia di un progetto che ha la capacità di sollevare dal quotidiano ed elevare a una visione più consapevole dello spirito.

«La musica è il mio rifugio, è per me un sacramento. Componendo “Euphonia suite” ho realizzato che quella musica mi portava a uno stato superiore, di serenità, di pace e allo stesso tempo di consapevolezza, la parola preferita di Demetrio Stratos.»

Alla costante ricerca del senso profondo della musica e della sua straordinaria capacità di metterci in contatto con l’assoluto cosmico. Qualcosa di assimilabile alla fede.

«Non credo che la fede, nel senso di fiducia, sia una qualità positiva. È la conoscenza che ci dà le risposte. La fede può essere anche mal riposta, spesso lo è stata. Ciononostante, non potevo non pensare a cosa alimentasse l’animo di Pergolesi quando scriveva lo Stabat Mater o di Bach, una personalità profondamente mistica, che ha scritto praticamente dei trattati di matematica e fisica dedicati all’assoluto.»

Partire dalle definizioni del divino.

«Eterno, infinito, onnisciente, onnipresente. Dio così diventa un altro nome per l’universo, per il respiro del cosmo, per tutto ciò che esiste. Per quello che, un tempo, è stato definito il creato. Ma le fedi hanno avuto la pretesa di essere assolute, rendendosi perciò relative; la scienza invece è assolutamente aperta, per cui la religione dell’universo è anche la consapevolezza che ci sarà sempre qualcosa da scoprire, da capire, che la verità non è rivelata ma svelata. Non posso dire di non credere, credo nel sapere e nell’inesauribilità del non sapere. E la sacralità della mia fede risiede proprio in quella ricerca.»

Il bisogno di verità emotiva.

«La musica è verità, l’arte dell’assoluto. Mentre la parola, che è l’altra metà delle canzoni, è un’arte del tutto soggettiva, ognuno di noi ha infatti il proprio linguaggio. L’incontro tra l’assoluto e l’assolutamente relativo rende la musica più accessibile, le dà un limite, un contenitore, e contestualmente conferisce alle parole uno spessore, una profondità che altrimenti non avrebbero.»

Un grande atto di ribellione che continua da quasi cinquant’anni.

«Nel 2002 mi sono ribellato a un certo meccanismo discografico e da allora ho solo prodotto progetti speciali: un disco di fado portoghese; uno di classica contemporanea che mi ha portato alla Scala di Milano; un disco di blues con cui ho girato tre anni e, a tutt’oggi, lo suono parallelamente ad altri progetti. Dipende sempre a cosa ti devi ribellare. Anche alla schiavitù della fama, che ti costringe ad eseguire sempre quelle solite canzoni nella maniera in cui furono fatte in origine, così che la gente ci possa cantare insieme.»

Continuare controcorrente a dar voce a un’alternativa, per testimoniare quello che ci sta attorno.

«Attorno non c’è tantissimo pubblico. La scelta di continuare a cambiare pelle comporta inevitabilmente delle rinunce. Tuttavia qualche eroico drappello di coraggiosi esiste ancora, persone che hanno avuto l’ardire di seguirmi in ogni viaggio musicale, in tutti i percorsi che ho loro proposto.»

Cantautore guru degli indipendenti, simbolo della libertà artistica più totale. Una libertà rispetto alle aspettative.

«All’inizio sono uscito come un prodotto ben definito, con delle caratteristiche molto forti, riconoscibili, rappresentando un periodo storico-musicale preciso. Oggi, nel bene e nel male, ne pago le conseguenze. Nel bene e nel male sono Finardi. E bisogna innamorarsi di questa versione di me.»

Eugenio Finardi, contiene moltitudini.

«Da una parte ho la capacità di vedermi in tutti gli aspetti peggiori, nei miei difetti, nel narcisismo, nell’egocentrismo. Dall’altra ritrovo l’uomo che pensa ai massimi sistemi, che cerca di darsi un senso, una spiegazione.»

Felice, forse, non lo è mai stato.

«L’ho provata la felicità, la gioia, ma forse lo stato più alto dev’essere la malinconia consapevole. La felicità, in fondo, è una cosa semplice. È data da un tipo di vita che purtroppo non sono riuscito a costruire. Non mi reputo infelice, ma sono continuamente alla ricerca di quel qualcosa che possa appagare la mia insoddisfazione. Guardo i miei figli e sono felice, ma con quella malinconica consapevolezza che diventa struggente. È commovente, io piango per la felicità.»

Dedico quest’intervista a Laura, mia moglie, e a Chiara e Sofia, le nostre due piccole “ribelli”. Con la certa speranza che troveranno sempre la forza di sollevarsi dal quotidiano spiccando il volo nel sorprendente cielo della vita.

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