Fadwa: la terra martoriata

DI DANTE IAGROSSI

La parabola esistenziale di Fadwa Tuqan, la più nota poetessa palestinese, costituisce un forte intreccio di vicende personali, politiche e letterarie.

La poesia diventa con lei uno strumento efficace di resistenza ed insieme espressione di esistenza, in situazioni alquanto precarie di vita, dentro un territorio lungamente conteso ed occupato, insanguinato, per un popolo oppresso da secoli.

Fadwa, nata nel 1917 a Nablus, apparteneva ad una famiglia di alto livello, numerosa, con cinque fratelli e due sorelle. Dovette presto abbandonare la scuola, dopo solo 5 anni, per l’opposizione di un fratello.

Poi però con l’aiuto di un altro, riprese gli studi a Gerusalemme. Non fu certo un periodo sereno per lei, ma in seguito cominciò a pubblicare le prime poesie su giornali del Cairo e Beirut. Poi cominciò a partecipare alla vita politica palestinese, compiendo vari viaggi di rappresentanza.

Con la partecipazione ad un circolo culturale di buon livello, conobbe poeti e attivisti politici, tra cui un giordano, che nascose ed aiutò a scappare. Poi fu due anni ad Oxford, per approfondire la lingua e la letteratura inglese. Ritornata nella sua città, ricominciò a fare attività politica.

La sua poesia, da intimista, diventò allora più sociale, toccando, oltre l’amore e la famiglia, anche la vita, la morte, la repressione politica. Entrò anche nell’amministrazione dell’Università. Pubblicò vari libri di poesie, tra cui “”Sola con i giorni”, “L’ho trovata!”, “Dacci amore”, “Un giorno sull’isola”, e vinse molti premi prestigiosi.

Morì a 85 anni, con solenne riconoscimento ufficiale dei suoi meriti culturali e sociali: la poetessa ufficiale della Palestina. Per lei, come ha è stato scritto,” la Poesia non è un’arma, ma un fiore che spacca il cemento.”

Alcune sue significative e suggestive poesie, che testimoniano la forza delle sue radici, del suo amore per un uomo, la cosapevolezza del valore delle vite giovani spezzate dalla guerra, il desiderio di restare per sempre nella propria terra:
COME NASCE UNA CANZONE
“Le canzoni nostre le prendiamo/ dal tuo tormentato e sciolto cuore;/ e sotto il peso del buio e della notte/ le impastiamo con la luce, con incenso,/ con amore e con voti,/ le carichiamo del vigore delle rocce e del salice;/ dopo di che le restituiremo al tuo cuore,/ puro e trasparente quale cristallo/ oh! nostro lontano e paziente popolo.”

NON VENDERO’ IL MIO AMORE
“Io, poeta mio, ho nella mia cara patria/ un innamorato che attende il mio ritorno./ E’ un amato compatriota, del mio paese natìo; / e tutte le ricchezze del mondo/ le stelle luminose e la luna/ non mi faranno perdere il suo cuore/ o vendere il suo dolce amore./ Perdona, o caro, l’orgoglio del mio cuore/ al sentirti bisbigliare dolcemente/ I TUOI OCCHI SONO PROFONDI E TU SEI BELLA”

I MARTIRI DELL’INTIFADA
“Hanno tracciato la rotta verso la vita/ l’hanno intarsiata di corallo, di agata e di giovane forza/ hanno innalzato i loro cuori/ su palmi di carbone, di brace, e di pietra./ E con questi hanno lapidato la bestia del cammino./ Questo è il tempo di essere forti, sii forte./ La loro voce è rimbombata alle orecchie del mondo/ e la sua eco si è dispiegata fino ai confini del mondo./ Questo è il tempo di essere forti/ e loro sono diventati forti…/ E sono morti in piedi/ illuminando il cammino/ scintillanti come le stelle/ baciando le labbra della vita.”

MI BASTA
“Mi basta morire sulla mia terra”/ essere sepolta in essa/ sciogliermi e svanire nel suo suolo/ e poi germogliare come un fiore/ colto con tenerezza da un bambino del mio paese./ Mi basta rimanere/ nell’abbraccio del mio paese/ per stargli vicino, stretta, come una manciata/ di polvere/ ramoscello di prato/ un fiore.”

(foto da “Al monitor”)

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