Film da vedere (o rivedere): ‘Brutti, sporchi e cattivi’ di Ettore Scola. Con Nino Manfredi

di Luca Biscontini

Brutti, sporchi e cattivi è un film del 1976 diretto da Ettore Scola, con Nino Manfredi. Al centro del film sono la periferia romana dei primi anni settanta e le sue baraccopoli, raccontate impietosamente con tutte le loro miserie, morali e materiali. Il film fu vincitore del premio per la miglior regia al 29º Festival di Cannes.

La critica è concorde nel riconoscere la grande interpretazione di Nino Manfredi, che ha saputo delineare il personaggio di Giacinto “con straordinaria misura e sottigliezza“. Il film è girato quasi completamente a Roma, nella zona di Monte Ciocci, dal nome del casale di Ciocci, Torre di guardia, esattamente dopo la Scuola Agraria di via Domizia Lucilla; da qui il panorama che si affaccia sulla Cupola di San Pietro e l’Olimpica. La zona era stata, fino al 1977, veramente occupata da baracche piene di sbandati e di operai che lavoravano presso i cantieri di via Baldo degli Ubaldi e Boccea.

Nella scena in cui la nonna va a ritirare la pensione è chiaramente riconoscibile il noto Palazzo delle Poste di Adalberto Libera in Via Marmorata, ambientazione poco credibile trattandosi di una zona di Roma molto distante dal Trionfale. Con Nino Manfredi, Marcella Michelangeli, Marcella Battisti, Claudio Botosso, Silvia Ferluga, Francesco Annibali, Maria Bosco, Maria Luisa Santella.

Trama
In una baraccopoli romana vive una famiglia di immigrati pugliesi composta dal vecchio e tirannico padre, Giacinto, dalla moglie, dieci figli e uno stuolo di parenti. Scopo principale di questi è impadronirsi del milione che Giacinto ha ottenuto per la perdita di un occhio. Commedia grottesca e dramma sociale si mescolano in questo film di Scola: si ride amaro. Miglior regia al Festival di Cannes.

Negli anni Settanta il cinema di Ettore Scola raggiunse le sue vette più alte. In meno di un lustro, dal 1974 al 1977, il regista di Trevico realizzò tre capolavori, uno dietro l’altro: C’eravamo tanto amati (1974), Brutti, sporchi e cattivi (1976) e Una giornata particolare (1977). Dopo essersi malinconicamente soffermato sul crollo degli ideali seguito all’avvento della società del benessere, Scola punta l’obiettivo della macchina da presa sul mondo marginale delle ultime borgate, con sguardo cinico, brutale, privo di compassione. Risulta, infatti, piuttosto, approssimativo definire Brutti, sporchi e cattivi una commedia. Semmai, lo si potrebbe incasellare nel genere grottesco, sebbene gli eccessi delle situazioni provochino spesso il riso.

Il film, che vede protagonista un eccezionale Nino Manfredi, costituiva una sorta di definitivo requiem per quel sottoproletariato che Pier Paolo Pasolini aveva celebrato col cinema e la letteratura. Tant’è che – non tutti lo sanno – il poeta di Casarsa fu coinvolto direttamente nella pellicola di Scola; avrebbe dovuto introdurre il film in un prologo in cui spiegava i motivi della fine di quell’umanità. Inoltre, Sergio Citti, fido collaboratore di Pasolini, partecipò attivamente alla stesura dei dialoghi, e il Franco Merli di Salò e l’Ettore Garofolo di Mamma Roma compaiono in veste di attori. La tragica morte avvenuta all’idroscalo di Ostia impedì la concretizzazione della collaborazione.

Giacinto Mazzatella (Nino Manfredi) è un padre-orco animato da un perenne risentimento, incapace di provare affetto, sempre pronto allo scontro, alla vessazione, proprio nei confronti della sua famiglia, costituita da una quantità enorme di figli e figlie, nipoti, nuore, generi e una madre anziana e paraplegica obnubilata dalla tv. Tutti ammassati nello spazio ridotto di una baracca, in un’atmosfera di oscena promiscuità.

Non c’è possibilità di mantenere una minima distanza, di sottrarsi allo sguardo dell’altro. Un luogo claustrofobico che brulica di corpi e pulsioni. Scola calca volutamente la mano, dando corpo, come notò opportunamente Alberto Moravia, a “un nuovo estetismo in accordo coi tempi, che viene ad aggiungersi ai tanti già defunti: quello del «brutto», dello «sporco» e del «cattivo”. È un mondo disumano quello messo in scena, totalmente privo di pietà, dominato dagli istinti, in primis di sopravvivenza. È un tutti contro tutti, senza esclusione di colpi.

I poveri sono carne da macello, fatalmente esclusi dall’opulenza del “banchetto democratico”. E, per tanto, sono arrabbiati. Sono brutti, sporchi e cattivi. Pronti a qualsiasi cosa pur di sbarcare il lunario o, più semplicemente, sopravvivere.

Uno dei passaggi chiave del film è però quello della sequenza onirica, in cui Giacinto, cadute le difese della coscienza, sogna di potere acquistare beni e merci per i propri figli, per renderli felici ed esaudire i lori sogni.

È in quel cedere alla logica del consumo, in quanto promessa di godimento e felicità, che viene chiaramente segnalata la definitiva sussunzione di un’umanità irregolare, criminaloide e ostinatamente contraria.

Sebbene relegati ai margini, esclusi e dimenticati, “i mostri” di Scola covano gli stessi desideri di coloro che sono felicemente integrati. Non sono più in guerra, non si pongono più in un immarcescibile antagonismo, piuttosto aspettano anche loro di poter afferrare una fetta di torta. Come Pasolini prima e Caligari successivamente, Ettore Scola prosegue un’indagine antropologica il cui esito non può che essere sconfortante. L’alternativa è: o sbranarsi l’un l’altro per una manciata di spiccioli o perdere l’identità e diventare degli anonimi consumatori.

Ettore Scola, ancora una volta, dimostra una notevole abilità registica, realizzando alcuni funambolici piani sequenza negli spazi minimi della baracca, restituendone in pieno il senso di oppressione e di invivibilità. Inoltre, riesce a dirigere egregiamente una grande quantità di attori, la maggior parte dei quali non professionisti, fornendo un perfetto spirito di coralità all’insieme, sebbene poi su tutti svetti Nino Manfredi con diversi colpi da fuoriclasse. Brutti, sporchi e cattivi non a caso ricevette il premio per la miglior regia al 29º Festival di Cannes.

Luca Biscontini per MondoSpettacolo

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