Film da vedere (o rivedere): ‘Café Society’, scritto e diretto da Woody Allen

di Luca Biscontini

Café Society, un film del 2016 scritto e diretto da Woody Allen. Il film ha aperto, fuori concorso, del Festival di Cannes 2016. Il budget è stato di 30 milioni di dollari, e le riprese sono iniziate il 17 agosto 2015 a Los Angeles e proseguite nel settembre a New York. Per la prima volta nella sua carriera, Woody Allen ha girato il film in digitale, con una telecamera CineAlta F65. Con la direzione della fotografia di Vittorio Storaro, le scenografe di Santo Loquasto e i costumi di Suzy Benzinger, Café Society presenta una trama molto articolata che prende piede tra New York e Hollywood. Con Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Blake Lively, Steve Carell, Corey Stoll, Parker Posey.

Trama
Hollywood, anni ‘30. Il giovane Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg), stanco della mediocre vita condotta nel Bronx, decide di partire per Hollywood in cerca di un lavoro e raggiungere quindi suo zio Phil (Steve Carrell), uno dei più importanti agenti delle star del momento. Assunto come fattorino, il ragazzo conosce la segretaria Vonnie (Kristen Stewart)di cui si innamora perdutamente ma che lo avverte di avere già un fidanzato. I due diventano amici molto intimi e quando Vonnie rivela di essere stata lasciata, Bobby comincia a progettare la sua vita futura con lei. L’ex della donna, però, si fa avanti con una proposta di matrimonio e il giovane è costretto a tornare a casa e a lavorare nel locale di suo fratello Ben (Corey Stoll). Gli anni passano, le loro vite si evolvono ma il legame tra Bobby e Vonnie non si è mai interrotto veramente.

“Con Café Society, Woody Allen ci regala un film (…) che è un puro distillato del suo cinema: amore e nevrosi, New York contro Los Angeles, sguardo ironico-nostalgico sulla mitica Hollywood degli anni Trenta, ritratto umoristico di una tipica famigliona ebraica, etica e compromesso, fede a ateismo, crimini e misfatti. Solo che ora l’ottantenne cineasta sembra affrontare il sempiterno rovello del dubbio e le interne contraddizioni dell’essere (e del non essere) con un più stoico atteggiamento di accettazione. (…) Narrato dalla voce fuori campo di un onnisciente osservatore (nell’originale Woody stesso), il film procede sul filo degli eventi a passo svelto, intonandosi al ritmo swing della colonna sonora; mentre gli interpreti incarnano i personaggi con perfetta misura e Vittorio Storaro gioca sul digitale per imprimere alla fotografia un algido fascino retrò. Si può preferire l’iper-nevrotico battutista degli esordi, oppure il cineasta più equilibrato e complesso della maturità, a questo Allen della terza età che, con piena padronanza formale, riflette sull’imponderabile mistero della vita (e della morte), muovendo i protagonisti come ideali marionette e ricorrendo al motto di spirito per esorcizzare il dramma. Ma Café Society è comunque una commedia da non perdere: divertente e amara, leggera e inquietante, suggerisce (per dirla con Svevo) che in fondo la vita non è bella né brutta, ma solo originale.”
(Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa, 29 settembre 2016)

“È il Woody Allen che ti aspetti e che invece riesce sempre e comunque a sorprendere: l’amata New York a fare da sfondo, il suo rispecchiamento (anche geografico, essendo situata al capo opposto del Paese) nella Hollywood del cinema, l’amata musica jazz a fare da discreto sottofondo: l’universo alleniano, insomma, come ce lo aspettiamo. E come l’autore di «Manhattan» continua a coltivarlo tenacemente con alcune piccole varianti, su uno spartito che in fondo racconta sempre una cosa sola: la vita. Così com’è. Gli ingredienti sono l’amore e il caso, il cinema e la vita e le scelte che questa inevitabilmente alla fine ci impone di prendere. (…) Supportato da un testo che è davvero formidabile (…) e che non rinuncia alle sue celebri e caustiche battute (…), splendidamente fotografato da Vittorio Storaro, Café Society è una riflessione agrodolce sull’amore, sulla vita e, in ultima sintesi, sul cinema.”
(Andrea Frambrosi, L’Eco di Bergamo, 12 maggio 2016)

Luca Biscontini per MondoSpettacolo

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