Film da vedere (o rivedere): ‘Una storia vera’ diretto da David Lynch

di Luca Biscontini

Una storia vera (The Straight Story), è un film del 1999 diretto da David Lynch. Si basa su un fatto realmente accaduto e racconta la storia di Alvin Straight, un contadino dell’Iowa che nel 1994, a 73 anni di età, intraprese un lungo viaggio a bordo di un trattorino rasaerba per andare a trovare il fratello reduce da un infarto. Straight coprì in 6 settimane la distanza di 240 miglia (386 chilometri circa), viaggiando a 5 miglia all’ora (8 km/h). È stato presentato in concorso al 52º Festival di Cannes. È l’ultimo film interpretato da Richard Farnsworth. Con Richard Farnsworth, Sissy Spacek, Harry Dean Stanton.

Trama
Il vecchio Alvin Straight ne ha viste davvero tante, negli anni trascorsi sulla strada e in quelli passati sul prato di casa e nel drugstore dietro l’angolo. Un giorno prende il tagliaerba e parte, attraversa a passo di lumaca strade, campi di mais, cieli, il Mississippi per riconciliarsi con il fratello che non vede da troppo tempo.

“Quando vedrete Una storia vera e vi toccherà il cuore la stupenda prestazione di Richard Farnsworth (80 anni tra poco), vi meraviglierete anche voi che il palmarès di Cannes abbia messo sugli altari un non professionista trascurando di onorare uno splendido veterano. Il quale esordì come cascatore nel 1937 e dovette aspettare 40 anni per avere finalmente il primo ruolo in cui gli affidarono delle battute. Nel presente film David Lynch (un Lynch nuovo, senz’avanguardismi né provocazioni) si ritaglia con forte sensibilità pittorica le suggestive immagini dei grandi spazi aperti per ricostruire la cronaca del viaggio compiuto nel 1994 dal veterano Alvin Straight”.
(Tullio Kezich, Il Corriere della Sera, 12 Febbraio 2000)

“È probabile che, di fronte a Una storia vera, un ‘road movie a quindici chilometri all’ora’ come l’ha definito l’art director Jack Fisk, i cultori di David Lynch si strapperanno i capelli per aver perso il loro perverso polimorfo preferito, il maestro dell’orrore mentale, l’inventore dei luoghi e dei personaggi simbolo della paura della scorsa fine secolo; così come è probabile che i suoi detrattori, se nell’opportuna fascia di età – quella che dovrebbe dare la saggezza e la voglia di pensare ai valori autentici della vita – ne saranno sedotti”.
(Irene Bignardi, ‘la Repubblica’, 12 febbraio 2000)

“Sotto il sole e la pioggia, attraverso sterminati campi di grano, gialli di stoppie dopo il raccolto, strade deserte, paesini tranquilli e come abbandonati, incontrando l’autostoppista fuggita di casa, due meccanici gemelli che tentano di imbrogliarlo e la buona coppia generosa. Nelle luci e nei silenzi, negli spazi e nel torpore di un’America rurale che il cinema ha rimosso”.
(Natalia Aspesi, La Repubblica delle Donne, febbraio 2000)

“Magari c’è chi stenterà a riconoscere la mano di Lynch in questa stoica riflessione sulla vecchiaia che sembra uscire da una canzone texana di Guy Clark, anche se poi dalla partitura vagamente country affiorano inquietanti segnali di disagio, follia e stravaganza, in linea con la cineleggenda del regista”.
(Michele Anselmi, L’Unità, 13 Febbraio 2000)

Luca Biscontini per Mondo Spettacolo

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