“Firestarter” il film tratto da Stephen King con Zac Efron

DI GIOVANNI BOGANI

 

Una ragazzina scatena tempeste di fuoco. Metafora della potenza devastante e dolorosa dell’innocenza.

Charlie – Ryan Keira Armstrong – ha undici anni e un superpotere: un’enorme forza mentale, capace di scatenare tempeste di fuoco. Esplosioni che nascono dalle emozioni. Quando prova dolore, rabbia o paura, in un baleno, può far divampare il fuoco attorno a sé.

Il padre, Zac Efron, ha un altro potere, differente. Riesce a condizionare la volontà altrui, ma al costo di uno sforzo mentale tremendo, che lo porta a piangere lacrime di sangue. Lui e la madre – Sydney Lemmon – hanno vissuto anni costantemente in fuga, cercando di sottrarre la figlia alle mire e alle sperimentazioni di laboratorio di un’agenzia governativa.

La famiglia vive nella paura: l’organizzazione federale vuole prendere la bambina e continuare le sperimentazioni. Dopo un episodio a scuola, la famiglia non può più nascondersi. Sulle sue tracce c’è un assassino. Padre e figlia si troveranno a fuggire, fra campagne e case isolate, braccati. La ragazzina dovrà presto mettere alla prova il suo dono, che è anche una condanna, che la rende “diversa” dagli altri, che la rende pericolosa e mortale anche quando non vorrebbe.

Sono passati più di quarant’anni da quando Stephen King pubblicava il romanzo “L’incendiaria”. Era il 1980: erano ancora i primi anni della febbrile produzione di King, erano già usciti “Carrie” e “The Shining”, il resto era di là da venire. Nel 1984 usciva al cinema il primo adattamento cinematografico del romanzo: protagonista, una giovanissima Drew Barrymore. In Italia, il film usciva col titolo “Fenomeni paranormali incontrollabili”.

Eccoci, adesso, di nuovo alle prese con la ragazza che gioca con il fuoco. E no, Stieg Larsson e Lisbeth Salander non c’entrano. C’entra sempre il romanzo di Stephen King. E dal romanzo era nata anche una serie tv americana nel 2002, con Malcolm McDowell fra i protagonisti, dal titolo “Firestarter 2: Rekindled”.

Stavolta, motore dell’operazione è il produttore Jason Blum con la sua Blumhouse, specializzato in horror a basso budget. E l’atmosfera da B-movie c’è tutta: pochi fronzoli, inquadratura sempre addosso ai volti dei personaggi, assenza quasi totale di comparse, scenografie minimali, effetti speciali vintage. Tutto addosso agli occhi – sanguinanti – di Zac Efron, e a quelli pieni di dolore, rabbia e determinazione di Ryan Keira Armstrong. Una ragazzina che fulmina, brucia chi vuole farle del male, e che soffre di questo suo potere: un po’ come la Matilde di “Freaks Out” di Gabriele Mainetti, la ragazza elettrica il cui cuore si gonfia e brucia sotto i vestiti.

Ma se le parentele con Matilde di “Freaks Out” le immaginiamo noi, c’è una parentela documentata del personaggio di Charlie McGee con un’eroina contemporanea: è Charlie una delle ispiratrici di Undici, della serie televisiva Netflix “Stranger Things”.

Eh beh, com’è il film, insomma? Molto vaga la definizione dell’agenzia governativa malvagia e crudele, e non proprio imprevedibile tutto l’andamento narrativo. Mancano sorprese degne di questo nome: rimangono invece le atmosfere care a Stephen King, campagne infinite, case isolate, innocenze violate, il sentimento della diversità.

Gran parte del peso è sulle performance degli attori: brava la piccola Ryan Keira Armstrong – in realtà è già una veterana del cinema e della tv Usa – bella e mortale, angelica e infernale. Bravo Michael Greyeyes, attore nativo americano, nel ruolo del misterioso killer, con qualche ombra delle espressioni del David Carradine di “Kill Bill”. Zac Efron? Riesce difficile togliersi dalla mente il ragazzo di “High School Musical” o anche quello di “The Paperboy” che s’innamorava di Nicole Kidman, e ritrovarlo padre pronto a tutto per la figlia undicenne. Ma forse è un limite nostro.

Approvata senza riserve, invece, la colonna sonora. Anche perché, a firmarla, è un certo John Carpenter. Cioè, il regista de “La cosa”, di “Fog”, di “Essi vivono”. E anche colui che, negli anni ’80, avrebbe dovuto dirigere il primo adattamento cinematografico de “L’incendiaria”: Carpenter aveva già lavorato alla sceneggiatura, ma il flop di incassi de “La cosa” spinse i dirigenti della Universal a sostituirlo con Mark L. Lester. Dopo quarant’anni da quella bocciatura, Carpenter si prende la sua rivincita, firmando insieme al figlio Cody Carpenter e Daniel Davies la colonna sonora del film, con sapori splendidamente vintage.

La regia di Keith Thomas, arrivato dopo gli avvicendamenti di Akiva Goldsman e del turco/tedesco Fatih Akin – ci sarebbe piaciuto vedere la sua versione del film – non si fa notare per picchi di qualsiasi tipo, o per bagliori di originalità. Né accende, per rimanere in tema, grandi scintille di paura. Intanto, però, mentre il film esce – negli Stati Uniti contemporaneamente in sala e su una piattaforma, in Italia nelle sale – già si parla di un franchise, con prequel e sequel della vicenda.

E con gli occhi di Ryan Keira Armstrong, si aggiunge un altro capitolo alla storia del fuoco nella letteratura e nel cinema. Dall’Inferno di Dante al “Fuoco” di D’Annunzio, da “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury all’incendio della Biblioteca del “Nome della rosa”. La letteratura e il cinema sono pieni di fuoco. Si baciavano Clark Gable e Janet Leigh sullo sfondo dell’incendio di Atlanta in “Via col vento”, bruciava il grattacielo dell’ “Inferno di cristallo”, bruciava il cinema nazista di “Bastardi senza gloria”. E l’incendio più impressionante rimane muto e in bianco e nero: è quello de “La passione di Giovanna d’Arco” di Dreyer.

Immagine tratta dal web

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