Frammenti di Agro romano

DI FABIO BORLENGHI

 

Uscendo da Roma andando verso il mare si entra in un territorio che un tempo era detto Agro romano. Di fatto era la campagna della città eterna, paesaggio rurale descritto nei loro diari di viaggio da Gregorovius, Goethe, Alexander e tanti altri visitatori colti del passato.

E’ una vasta area, sia pianeggiante sia collinare, occupata in parte da un’estesa pianura di origine alluvionale attraversata dal Tevere.
L’Agro romano fu anche in parte un’area paludosa e malarica, in seguito oggetto di numerose bonifiche e di quest’ambiente oggi se ne trovano frammenti qua e là soprattutto all’interno della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, area protetta istituita dal Ministero dell’Ambiente nel 1996.

All’interno di questa riserva naturale è presente l’Oasi LIPU di Castel di Guido, prezioso e attivo presidio per la conservazione della sua biodiversità.

In questa zona, compresa fra i fiumi Galeria e Arrone, si hanno tracce fin dal terzo secolo a.C. di un insediamento abitato conosciuto col nome di Lorium, toponimo che manterrà fino al Medioevo e dove, nell’846, avvenne una furiosa battaglia condotta e vinta contro i saraceni da Guido I da Spoleto, intervenuto su pressante richiesta del papa di allora per liberare la zona dagli invasori infedeli.

Di qui il nome del borgo agricolo Castel di Guido che ancora esiste lungo la Via Aurelia all’interno della riserva naturale.

Sono ormai passati trent’anni dalla mia prima uscita di campo in questi luoghi naturali che io chiamo “la mia piccola Africa”, dove la bellezza della natura assume, in particolari situazioni, i connotati di una vera e propria wilderness.

Boschi misti spesso impenetrabili sono contornati da fitte zone di macchia mediterranea che poi si aprono in estesi campi pascolati da nuclei di mucche maremmane gestite dall’azienda agricola del comune di Roma.

Il tempo ha fatto crescere le piante e molte di esse si fanno ammirare in tutta la loro grandezza: sughere, lecci, cerri, roverelle, pini d’Aleppo, pini domestici e anche specie di conifere aliene frutto di rimboschimenti passati a dir poco disinvolti sul piano scientifico che però ormai si sono fusi col resto delle altre porzioni di bosco.

Questi boschi o meglio boschetti, per la loro limitata estensione, si alternano in un’orografia movimentata fatta di vallecole con fianchi ripidi che in primavera sono invasi dagli asfodeli dal profumo amaro, a loro volta presi d’assalto dalle api del miele che abitano le tante arnie presenti nella riserva.

Il piano basico delle vallecole è fatto di seminativi o incolti e in questi ultimi le fioriture di fine inverno e primavera incantano lo sguardo di chi li percorre per le migliaia di margherite bianche e gialle che formano un tappeto a perdita d’occhio.

Già, la primavera…con le essenze della macchia mediterranea che sembra esplodere di nuovo vigore e profumi vari con le tante specie presenti: lentisco, fillirea, cisto, corbezzolo, mirto, erica, rovi selvatici, ginestre e altre meno conosciute.

In questa cornice verde inondata a tratti di colori vari naturali vive una fauna selvatica di tutto rispetto e non sempre conosciuta per via delle sue abitudini elusive e notturne.
Da studioso di uccelli rapaci sono più attratto dall’osservazione dell’avifauna e in particolare dai rapaci diurni che qui hanno nel nibbio bruno la loro mascotte.

Si tratta di un rapace migratore di discrete dimensioni che arriva dall’Africa a fine marzo e che qui nidifica in una colonia di una decina di coppie per poi rientrare a metà agosto nei quartieri africani di svernamento. Il controllo della nidificazione dei nibbi fa ormai parte di molte mie giornate di campo in questa riserva naturale; giornate che alterno, in questo periodo, alle uscite verso le amate aquile reali che mi aspettano nei loro siti montani, impervi e scoscesi, dell’Appennino centrale.

Immerso nel verde osservando un nibbio bruno volteggiare in cielo mentre cattura gli insetti ti può passare davanti l’aquila dei serpenti, o biancone, anch’essa nidificante in questi luoghi dove si alimenta di erpetofauna, oppure ti può sfrecciare a qualche decina di metri uno sparviere o un lodolaio, piccoli rapaci di bosco.
Insomma è difficile annoiarsi quando si ha la passione e la giusta cultura per la natura.

Mai sono tornato a casa dopo un’uscita di campo nella mia piccola Africa senza portarmi appresso un ricordo di un incontro speciale, non sempre con gli abitanti del cielo ma a volte anche con quelli del suolo, cioè i mammiferi. Tante le immagini di questi incontri: una volpe col muso nell’erba in cerca di tracce di prede, una famiglia di cinghiali che attraversa rumorosa un campo per poi rifugiarsi nella macchia, due lepri che saltano nell’erba medica come fossero trote nella corrente, un tasso che trotterella nel sentiero nella tua direzione, una tartaruga di terra che si muove nell’erba alta, una faina che attraversa spedita un incolto e poi…le fatte dei lupi sui sentieri, a testimonianza della loro presenza ormai consolidata.

Ogni volta emozioni ritrovate e sempre, di ritorno in città, portando dentro un piccolo mal d’Africa…

©® Foto di Fabio Borlenghi

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