Francesco Paolo Michetti, La figlia di Iorio

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Francesco Paolo Michetti è considerato un realista.
Abruzzese di nascita, ma formatosi a Napoli, sviluppa un proprio stile del tutto originale, ispirato dalle vicinanza e contemporaneità di alcuni artisti dell’epoca, in particolare Filippo Palizzi e Domenico Morelli.

Di entrambi, mutuerà alcuni aspetti: il difficile gusto del Palizzi, spesso rivolto verso soggetti scomodi e discussi – l’autore napoletano amava rimarcare l’importanza non tanto della nobiltà del soggetto, quanto della sua realizzazione, determinata dalla personalità del pittore – e la modalità rappresentativa teatrale, a tratti altisonante, del Morelli, orientato verso il quadro storico romantico, il quale, grazie alla propria tecnica, inciderà direttamente sulla formazione dei pittori macchiaioli fiorentini.

Si ricordi Ritratto di contadina abruzzese, in cui Michetti sprigiona tutta la propria veemente enfasi delineando un’immagine platealmente teatrale: l’artista non si fa scrupoli nel ritrarre la protagonista seminuda, più simile ad una modella che ad una popolana, caratterizzandola attraverso una serie di dettagli tecnici – dal fondo uniforme in grado di esaltarne la luminosità, al tratto, a momenti, indefinito, tale da accentuarne un’avvenenza sfrontata, vagamente aspra – dotandola in tal modo di una sensualità prorompente, impossibile da celare.

In ossequio ad un paragone audace, ricorda i graffiti ribelli dell’artista Bansky, il sovversivo esponente di street art, spesso coinvolto in senso provocatorio e dissacratorio.

Michetti raggiunge vette di indiscussa notorietà, grazie anche ad amicizia e stima da parte di Gabriele D’Annunzio, notevole incentivo alla popolarità dell’artista, trionfando alla Biennale di Venezia, nel 1895, con la rappresentazione de La figlia di Iorio, quadro rappresentante una donna perduta, Mila di Codra, condannata dalla morale arcaica, ritratta mentre, perseguitata, si allontana coprendosi il volto, ed attirando l’attenzione, ed il desiderio, dei poco di buono seduti ai margini della strada.

Opera che ispirerà l’omonima tragedia dannunziana, del 1904.
In realtà D’Annunzio, il quale raggiungerà con quest’opera un notevole successo, nonostante l’amico pittore figuri come collaboratore riguardo alla trama, preciserà, in una intervista successiva, di non essersi in realtà ispirato al dipinto omonimo, quanto di aver rievocato una scena precedente, vissuta in prima persona, cui aveva assistito, in un paesino abruzzese, in compagnia del pittore: una donna, scomposta e scarmigliata, era improvvisamente apparsa nella piazza del paese, inseguita da un gruppo di rurali, probabilmente ubriachi, visibilmente malintenzionati.

Un contesto che impressionò notevolmente entrambi, immediatamente catturati da quella deplorevole visione, che ognuno si ritrovò a rielaborare secondo la propria indole: Michetti, fissandone visivamente l’immagine sulla tela; D’Annunzio meditandola più spiritualmente, per poi arrivare, qualche anno più tardi, alla stesura della tragedia in questione.

Eleonora Duse, che avrebbe tanto desiderato interpretare quel capolavoro teatrale, a causa di importanti problemi di salute e nemmeno più giovanissima – all’epoca aveva quarantacinque anni – si vede defraudare di un ruolo che sente profondamente suo, assegnato dal Vate all’attrice Irma Gramatica, subendo oltretutto un doppio tradimento: alla prima de La figlia di Iorio, D’Annunzio si presenta accompagnato da Alessandra Starabba di Rudinì, sua nuova amante.
Un torto che la Duse non dimenticherà mai.
‘Mila era mia! Era mia!’ …

A chi desiderasse leggere la storia di Eleonora Duse, in cui è riportato il suggestivo racconto del suddetto episodio, può approfittare del bellissimo libro dell’amica Musini Daniela Le Magnifiche – 33 vite di donne che hanno fatto la storia d’Italia

Francesco Paolo Michetti (1851-1929), La figlia di Iorio, 1895, olio su tela, 280×550 cm., Pescara – Palazzo del Governo
Immagine: web

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