Francesco Renga, un fiume in piena di emozioni

DI GINO MORABITO

Un fiume in piena. Emozioni che scorrono vivide tra i ricordi che risalgono dall’anima e quelle piccole gioie a cui aggrapparsi per continuare a vivere.

Il viaggio tra musica e parole di uno dei maggiori rappresentanti della scena italiana. Quella vena di sana follia e incoscienza che ha caratterizzato la generazione dei Timoria, oggi delinea i tratti di un’intima consuetudine che sa di felicità. Francesco Renga sorride. E questo ci basta.

Da luglio torna live in tutta Italia con “Acoustic trio – estate 2021”.

«Era da un po’ che ci stavamo lavorando… e io morivo dalla voglia di potervelo comunicare! Questa estate finalmente dopo più di un anno potremo ritornare ad “abbracciarci” almeno con lo sguardo, e certamente con la musica.»

Accompagnato da Fulvio Arnoldi (chitarra acustica e tastiere), Vincenzo Messina (pianoforte e tastiere) e Stefano Brandoni (chitarre), le prime date di una “meraviglia che finalmente può ricominciare”.

«Il 3 luglio alla Flower Arena di Bellaria Igea Marina (RN), il 12 luglio al Castello Sforzesco di Vigevano (PV), il 15 luglio all’Area produttiva di Tarantasca (CN) in occasione dell’Onde Sonore Festival, il 31 luglio all’arena degli Ulivi a Fasano (BR), il 20 agosto all’anfiteatro Falcone e Borsellino di Zafferana Etnea (CT), il 21 agosto all’arena Villa Dante di Messina, il 28 agosto in piazza Carl Marx per il Festival dei Borghi di Marsciano (PG). Sul palco saremo in quattro, sto lavorando ad una scaletta speciale con arrangiamenti speciali, tutti nuovi… solo per voi. Solo per questa volta.»

Il ritorno ad una normalità che significa vita.

«Non aspettavo altro! Spero di potervi finalmente rivedere tutti e ricominciare il nostro viaggio tra musica e parole. Ricominciare a ridere, piangere, emozionarci insieme. Un modo per ringraziarvi tutti per quanto avete fatto per me in questo periodo così triste e strano… mi avete fatto sentire meno solo, mi avete fatto sentire ancora vivo.»

In scaletta, il percorso umano e artistico di un cantautore che, in gara al 71° Festival della canzone italiana, esplora il concetto di “oblio salvifico”: dimenticare come forma di protezione e come riparo da una vita che spesso ci costringe alla fretta.

«La canzone racconta l’esplosione di un ricordo che sale dall’anima e ci riporta a una situazione di normalità. Nel caos della vita di ogni giorno, credo sia salvifico, anche in un appuntamento con la disperazione, il rendersi conto che a casa c’è qualcosa di bello che ci aspetta e che, quasi sempre, collima con la felicità.»

Quelle piccole gioie di ogni giorno, che ci salvano la vita…

«… lo sguardo dei miei figli, il profumo di una casa, il calore di un abbraccio, l’amore della mia compagna.»

Ricordi sopiti che conducono in Sardegna, terra a cui Pierfrancesco è legato dall’infanzia.

«Moltissimi dei miei ricordi d’infanzia sono legati alla Sardegna. Da sempre per me quella terra ha rappresentato la vacanza; il momento in cui andavo a ritrovare, non solo le mie radici, i profumi, i sapori, ma anche i cugini, gli affetti, la mia famiglia.»

L’immagine più vivida è quella di nonno Pietro, camicia a quadri e pantaloni di velluto, con un carretto trainato da un asino.

«La mattina alle sei – avrò avuto cinque anni – entrava in camera chiamandomi Pierfrancesco (era l’unico a farlo) e mi svegliava per andare nei campi a raccogliere la lattuga, le zucchine, le patate, che sarebbero state buttate, mentre noi le portavamo ai nostri animali. Alle sei di mattina mio nonno aveva già munto le mucche e, quando entrava in camera, lo faceva con una scodella di latte fumante. Mi sembra ancora di sentirne il sapore.»

Rivedersi nei propri figli, alla luce di un confronto generazionale.

«Crescendo, i miei figli fanno crescere anche me, persino dal punto di vista artistico e musicale. Sono le mie orecchie e i miei occhi su quello che succede intorno. Rivedo in ognuno di loro degli aspetti della mia personalità, in maniera però non così combattiva e conflittuale come hanno convissuto dentro di me. Jolanda e Leonardo sono già ben definiti e saranno certamente una donna e un uomo più sereni di quanto non sia stato io.»

Era il 1991 e tra le Novità dell’Ariston ci sono i Timoria.

«Era l’inizio di tutto. Il ricordo che ho trattenuto dentro fino ad oggi è legato a quella vena di follia, di incoscienza, che, con i Timoria, ci aveva portato al Festival. Quella stessa voglia di rivoluzione, di cambiare il mondo, non è mai mutata. L’urgenza di farsi ascoltare, di farsi sentire, è sempre presente in me.»

Gli aspetti di una personalità abituata a nascondere, a celare.

«Nascondo tutt’ora. E quello che nascondo, il più delle volte, riaffiora nei testi delle canzoni che scrivo. La mia difficoltà comunicativa è profonda e ben radicata. Credo che poi l’artista usi la propria arte per raccontarsi e raccontare il mondo che vede, che lo attraversa e che in qualche modo si nasconde dentro di lui… i propri demoni, i fantasmi.»

Quella certa inadeguatezza di fondo, che diventa una costante.

«Tranne quando sono sul palco e canto, riuscendo ad incrociare lo sguardo del mio pubblico e abbracciarlo, tutto il resto dell’esistenza è sempre stato il tentativo di smettere di sentirsi inadeguato all’esistenza stessa. Ciononostante resto ostinatamente positivo, il mio sorriso è la bandiera dell’ottimismo.»

Sorride Francesco, e soffia sulle candeline. Tra fotografie, ricordi e speranze, la dedica accorata dell’uomo di oggi al ragazzo di ieri.

«Al Francesco del passato direi che le cose arrivano quando devono arrivare, che nessuno ce la può fare da solo e che bisogna lasciarsi aiutare ed aiutare. Gli direi che la felicità non ci deve spaventare, perché non è detto che il prezzo da pagare sia comunque salato. Gli direi di avere voglia di cercare la felicità e pretenderla sempre dalla vita di ciascuno, in ogni attimo della nostra esistenza. Gli direi che sarà un uomo fortunato e di continuare a sperare nella fortuna.»

Si diceva andrà tutto bene, ne usciremo migliori.

«Era l’augurio che ci siamo fatti all’inizio di questo viaggio allucinante, quando tutto sembrava ancora un film che speravamo di non vedere, ma soprattutto di non vivere mai in prima persona. Non è andato tutto bene, però forse ce la siamo cavata.»

 

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